Traumatismi dell'apparato locomotore
La locomozione è la facoltà degli organismi animali di muoversi, trasferendosi da luogo a luogo.
Il movimento è reso possibile dalla conformazione anatomica dello scheletro che viene messo in movimento dalla contrazione muscolare. Altre strutture anatomiche (tendini, nervi, legamenti ecc.) partecipano al movimento, costituendo nel loro insieme il cosiddetto apparato locomotore.
L'apparato locomotore è a sua volta composto da tre apparati o sistemi distinti:
- apparato scheletrico costituisce sostegno e inserzione per i muscoli e protezione per gli organi interni. È sistema PASSIVO nel movimento: sono i segmenti scheletrici che sono mossi a seguito dell'azione muscolare.
- apparato articolare costituito dalle regioni in cui si fronteggiano i segmenti ossei con i relativi annessi
- apparato muscolare. È l'elemento attivo nella mobilizzazione del locomotore e conferisce il movimento dei visceri e delle loro porzioni.
Ciascuno di questi sistemi può subire nell'arco della vita lesioni più o meno gravi e, mentre alcune guariscono spontaneamente, altre necessitano dell'intervento chirurgico e/o farmacologico.
Elenchiamo di seguito i traumatismi più frequenti dell'apparato locomotere .
Traumatismi dell'apparato osseo
Si distinguono fratture traumatiche, in cui il trauma agisce su un osso normale, e fratture patologiche o spontanee, che si producono per traumi deboli capaci di vincere la resistenza di un osso alterato, ma non quella di un osso normale. Le fratture possono essere localizzate esattamente nel punto in cui le cause hanno esercitato la loro azione (fratture dirette) o, al contrario, risiedere in un punto più o meno lontano ( fratture indirette). Sono dette complete se esistono due o più frammenti distinti, altrimenti sono incomplete e in tal caso possono essere esposte o coperte, a seconda che ci sia o no una discontinuità delle parti molli sovrastanti; infine si parla di fratture comminute, quando l'osso è ridotto in molteplici frammenti o schegge.
Terapia: deve tendere a ottenere una cicatrice ossea chiamata callo e si può riassumere in due parole: riduzione, contenzione.
Con la riduzione ci si propone di rendere all'osso fratturato la lunghezza, la forma, la direzione che aveva prima dell'incidente; questo risultato si ottiene fissando in una posizione immobile il frammento superiore (contro-estensione) ed esercitando trazioni sul frammento inferiore (estensione). Questa estensione può essere di durata molto breve e farsi con le sole forze del chirurgo, come nelle fratture dell'arto inferiore; al contrario in alcune fratture specialmente in quelle della coscia, per lottare contro l'azione dei muscoli flessori che tendono a far accavallare i frammenti, si è obbligati a far una estensione prolungata e continua, sia con l'aiuto di bende sia con l'aiuto di una staffa e di un chiodo posto attraverso l'osso.
In ogni modo la riduzione delle fratture deve essere praticata il più presto possibile dopo il traumatismo (prima che si produca un rigonfiamento troppo esteso delle parti molli e un inizio di rimaneggiamento delle estremità ossee), sotto controllo radiologico, e, in linea generale, sotto anestesia locale o generale; ciò sopprime i dolori avvertiti dal ferito al momento della mobilitazione dei frammenti ossei e diminuisce la resistenza opposta allo sforzo del chirurgo dalla contrazione dei muscoli che avvicinano la frattura.
Dopo aver ridotto i frammenti occorre mantenere la riduzione: questo si fa con l'aiuto di alcuni apparecchi che assicurano la immobilità assoluta dei frammenti; gli apparecchi più semplici sono formati da lamine flessibili e resistenti (stecche) che vengono applicate lungo l'arto fratturato per mantenerlo immobile: queste stecche sono generalmente in legno o in metallo flessibile o rigido, si eviteranno le bende circolari, poiché i tessuti, tumefacendosi, sarebbero troppo compressi. In casi d'urgenza si possono sostituire le stecche con pezzi di legno.
Insomma si tratta di improvvisare due difese laterali, larghe, che risalgono su tutta la lunghezza dell'arto, in modo da immobilizzare le due articolazioni sopra-e sottostante alla parte fratturata.
Terapia: deve tendere a ottenere una cicatrice ossea chiamata callo e si può riassumere in due parole: riduzione, contenzione.
Con la riduzione ci si propone di rendere all'osso fratturato la lunghezza, la forma, la direzione che aveva prima dell'incidente; questo risultato si ottiene fissando in una posizione immobile il frammento superiore (contro-estensione) ed esercitando trazioni sul frammento inferiore (estensione). Questa estensione può essere di durata molto breve e farsi con le sole forze del chirurgo, come nelle fratture dell'arto inferiore; al contrario in alcune fratture specialmente in quelle della coscia, per lottare contro l'azione dei muscoli flessori che tendono a far accavallare i frammenti, si è obbligati a far una estensione prolungata e continua, sia con l'aiuto di bende sia con l'aiuto di una staffa e di un chiodo posto attraverso l'osso.
In ogni modo la riduzione delle fratture deve essere praticata il più presto possibile dopo il traumatismo (prima che si produca un rigonfiamento troppo esteso delle parti molli e un inizio di rimaneggiamento delle estremità ossee), sotto controllo radiologico, e, in linea generale, sotto anestesia locale o generale; ciò sopprime i dolori avvertiti dal ferito al momento della mobilitazione dei frammenti ossei e diminuisce la resistenza opposta allo sforzo del chirurgo dalla contrazione dei muscoli che avvicinano la frattura.
Dopo aver ridotto i frammenti occorre mantenere la riduzione: questo si fa con l'aiuto di alcuni apparecchi che assicurano la immobilità assoluta dei frammenti; gli apparecchi più semplici sono formati da lamine flessibili e resistenti (stecche) che vengono applicate lungo l'arto fratturato per mantenerlo immobile: queste stecche sono generalmente in legno o in metallo flessibile o rigido, si eviteranno le bende circolari, poiché i tessuti, tumefacendosi, sarebbero troppo compressi. In casi d'urgenza si possono sostituire le stecche con pezzi di legno.
Insomma si tratta di improvvisare due difese laterali, larghe, che risalgono su tutta la lunghezza dell'arto, in modo da immobilizzare le due articolazioni sopra-e sottostante alla parte fratturata.
Si può ricorrere anche a cuscini che servono a isolare le stecche dall'arto e alle bende che circondano l'arto, cono destinate a mantenere a contatto le differenti parti e a formare un tutto. Sono stati segnalati parecchi bendaggi mobili, che utilizzano questi elementi: i principali sono il bendaggio a spirale, l'apparecchio di scultet. Se non si trova nulla di utilizzabile rimane sempre la risorsa di attaccare l'arto inferiore ferito all'arto sano, quest'ultimo prendendo così il posto di una stecca, per il braccio, il fianco del torace servirà da difesa.
Quando è possibile, si preferisce agli apparecchi immobili quelli inamovibili, che si fanno generalmente in gesso.
Il gesso viene tagliato secondo la regione da ingessare in bende circolari, in strisce o in docce. Questi apparecchi in gesso devono essere sorvegliati nei giorni che seguono la applicazione, poiché possono essere troppo stretti e determinare compressione locale, molto frequente all'altezza del calcagno e dei malleoli. Possono anche dar luogo a dolori ed essere la causa di escare. Talvolta invece diventano troppo allentati, quando l'arto si sgonfia e dimagrisce; si produce allora lo spostamento, donde la necessità di rifare un nuovo apparecchio.
La durata dell'applicazione di tali apparecchi è variabile par ciascuna frattura.
La molestia di tutti questi apparecchi, mobili o inamovibili, è che non tardano ad essere constatate anchilosi e atrofia muscolare. Per evitarle occorre immobilizzare il meno possibile le articolazioni e, in seguito, fare ricorso a massaggi e alla elettricità.
Attualmente si tende sempre più a trattare chirurgicamente le fratture, nelle quali il gesso realizza una immobilizzazione insufficiente dei frammenti. I principali procedimenti adottati sono la sutura ossea, l'osteosintesi, l'incavigliamento e nei casi più gravi si ricorre all'inchiodamento.
Quest'ultimo chiamato anche avvitamento è un metodo che permette di rendere solidali due frammenti di osso spugnoso nelle cui cavità viene fissato un chiodo che unisce le due parti di osso divise.
Quando è possibile, si preferisce agli apparecchi immobili quelli inamovibili, che si fanno generalmente in gesso.
Il gesso viene tagliato secondo la regione da ingessare in bende circolari, in strisce o in docce. Questi apparecchi in gesso devono essere sorvegliati nei giorni che seguono la applicazione, poiché possono essere troppo stretti e determinare compressione locale, molto frequente all'altezza del calcagno e dei malleoli. Possono anche dar luogo a dolori ed essere la causa di escare. Talvolta invece diventano troppo allentati, quando l'arto si sgonfia e dimagrisce; si produce allora lo spostamento, donde la necessità di rifare un nuovo apparecchio.
La durata dell'applicazione di tali apparecchi è variabile par ciascuna frattura.
La molestia di tutti questi apparecchi, mobili o inamovibili, è che non tardano ad essere constatate anchilosi e atrofia muscolare. Per evitarle occorre immobilizzare il meno possibile le articolazioni e, in seguito, fare ricorso a massaggi e alla elettricità.
Attualmente si tende sempre più a trattare chirurgicamente le fratture, nelle quali il gesso realizza una immobilizzazione insufficiente dei frammenti. I principali procedimenti adottati sono la sutura ossea, l'osteosintesi, l'incavigliamento e nei casi più gravi si ricorre all'inchiodamento.
Quest'ultimo chiamato anche avvitamento è un metodo che permette di rendere solidali due frammenti di osso spugnoso nelle cui cavità viene fissato un chiodo che unisce le due parti di osso divise.
2) CONTUSIONE: lesione prodotta da un urto, senza soluzione di continuo nella pelle e con travaso di sangue.
3) COMMOZIONE: scossa prodotta nell'organismo da una caduta o da un urto violento, si distinguono perciò due tipi di commozione:
"commozione elettrica" quando si ha una contrazione provocata da una corrente elettrica e
"commozione cerebrale" quando si ha perdita di conoscenza, generalmente transitoria e reversibile, che non produce danni permanenti ma può degenerare in coma.
I trumatismi cranici espongono sempre al rischio di ledere più o meno gravemente il cervello. Quindi nelle ore seguenti il trauma si possono osservare i segni di una contusione cerebrale, di unematoma e di altre caratteristiche più o meno gravi che richiedono esami più approfonditi e una operazione chirurgica.
3) COMMOZIONE: scossa prodotta nell'organismo da una caduta o da un urto violento, si distinguono perciò due tipi di commozione:
"commozione elettrica" quando si ha una contrazione provocata da una corrente elettrica e
"commozione cerebrale" quando si ha perdita di conoscenza, generalmente transitoria e reversibile, che non produce danni permanenti ma può degenerare in coma.
I trumatismi cranici espongono sempre al rischio di ledere più o meno gravemente il cervello. Quindi nelle ore seguenti il trauma si possono osservare i segni di una contusione cerebrale, di unematoma e di altre caratteristiche più o meno gravi che richiedono esami più approfonditi e una operazione chirurgica.
Traumatismi dell'apparato muscolare
CONTRATTURA: Contrazione continua e involontaria di uno o più muscoli, la cui rigidità è tale da formare cordoni duri, apprezzabili sotto la pelle. Quando colpisce un arto, lo immobilizza in flessione o estensione più o meno forte; alla faccia, non consente di aprire la mandibola. La contrattura può manifestarsi di colpo o far seguito a convulsioni o a paralisi dei muscoli. Cessa sotto l'azione del cloroformio, il che la distingue dalla retrazione muscolare, in cui vi è l'alterazione delle fibre muscolari, mentre nella contrattura vi è semplicemente una esagerazione della funzione. La contrattura è spesso dolorosa.
CONTUSIONE: lesione prodotta da un urto, senza la soluzione di continuo della pelle e con travaso di sangue.
CRAMPO: contrazioni involontarie, spastiche e dolorose di alcuni muscoli. In genere di breve durata, possono però riprodursi dopo un intervallo più o meno lungo. Sono frequenti soprattutto di notte e sono in primo luogo dovute ad una falsa posizione, alla compressione di un'arteria o di un nervo, a causa della presenza di acido lattico che proviene dalla scissione del glicogeno muscolare. I crampi si osservano pure in alcune malattie: tifo addominale, colera, dissenteria, influenza, diabete, arteriosclerosi, nelle intossicazioni alimentari o in gravidanza. Terapia: far assumere all'arto una posizione inversa a quella causata dal crampo, (alzarsi e camminare se il crampo ha colpito il polpaccio). Frizioni e massaggi. Inoltre è utile fare una cura ricostituente a base di vitamine C, PP, B e B2 che intervengono nel processo di contrazione muscolare.
STRAPPO: lacerazione parziale o totale di fibre di un muscolo, in seguito a movimento violento.
STIRAMENTO: allungamento eccessivo,oltre la soglia fisiologica, delle fibre muscolari.
CONTUSIONE: lesione prodotta da un urto, senza la soluzione di continuo della pelle e con travaso di sangue.
CRAMPO: contrazioni involontarie, spastiche e dolorose di alcuni muscoli. In genere di breve durata, possono però riprodursi dopo un intervallo più o meno lungo. Sono frequenti soprattutto di notte e sono in primo luogo dovute ad una falsa posizione, alla compressione di un'arteria o di un nervo, a causa della presenza di acido lattico che proviene dalla scissione del glicogeno muscolare. I crampi si osservano pure in alcune malattie: tifo addominale, colera, dissenteria, influenza, diabete, arteriosclerosi, nelle intossicazioni alimentari o in gravidanza. Terapia: far assumere all'arto una posizione inversa a quella causata dal crampo, (alzarsi e camminare se il crampo ha colpito il polpaccio). Frizioni e massaggi. Inoltre è utile fare una cura ricostituente a base di vitamine C, PP, B e B2 che intervengono nel processo di contrazione muscolare.
STRAPPO: lacerazione parziale o totale di fibre di un muscolo, in seguito a movimento violento.
STIRAMENTO: allungamento eccessivo,oltre la soglia fisiologica, delle fibre muscolari.
Traumatismi dell'apparato articolare:
DISTORSIONE: Traumatismo di un'articolazione, dovuto ad un movimento forzato e che si accompagna ad allungamento o rottura dei legamenti articolari, senza che segua uno spostamento permanente delle estremità articolari. È il primo stadio di una lussazione o, se si vuole, una lussazione mancata. La distorsione è caratterizzata da lesioni dei legamenti, da lesioni dellacapsula articolare e della sinovia, e soprattutto dei disturbi vasomotori; dolore vivace, calore locale, tumefazione (lividi) e notevole idrartro. Le distorsioni si osservano, il più delle volte, nelle articolazioni a movimenti limitati (caviglia, ginocchio, polso, dita) e sono eccezionali nelle articolazioni lasse come la spalla e l'anca. Gli sportivi vi sono particolarmente soggetti. Si può osservarle anche a seguito di un passo falso o nei soggetti, che presentano una anormale lassità delle articolazioni (a seguito di una frattura per esempio). I sintomi sono di dolore intenso, vivo, fisso che tuttavia permette i movimenti e talvolta anche la marcia, intensa tumefazione accompagnata da calore locale e versamento.
Terapia: nelle distorsioni senza lesioni gravi dei legamenti, si è raccomandato l'infiltrazione locale di novocaina, che fa scomparire il dolore ed i disturbi vasomotori e permette l'utilizzazione immediata dell'arto. Il massaggio, seguito da un bendaggio, si propone lo stesso fine. Se esistono lesioni legamentose, non bisogna riprendere la marcia, ma immobilizzare con gesso. La fisioterapia, le cure idrominerali possono essere utilizzate per combattere i postumi.
Terapia: nelle distorsioni senza lesioni gravi dei legamenti, si è raccomandato l'infiltrazione locale di novocaina, che fa scomparire il dolore ed i disturbi vasomotori e permette l'utilizzazione immediata dell'arto. Il massaggio, seguito da un bendaggio, si propone lo stesso fine. Se esistono lesioni legamentose, non bisogna riprendere la marcia, ma immobilizzare con gesso. La fisioterapia, le cure idrominerali possono essere utilizzate per combattere i postumi.
LUSSAZIONE: spostamento permanente di due superfici articolari, dovuto a violenza esterna, oppure ad alterazione del tessuto di una delle parti dell'articolazione. A seconda che il rapporto tra le superfici articolari sia completamente o parzialmente soppresso, la lussazione può essere completa o incompleta (sub lussazione). A volte la lesione si limita ad una apertura della capsula articolare ed alla parziale rottura dei legamenti, ma spesso questi sono strappati e possono anche asportare frammenti ossei; i muscoli sono violentemente contusi; si forma un versamento sanguigno. In generale tutto torna a posto dopo riduzione della lussazione.
Sintomi: dolore su una superficie assai estesa, esasperato dal movimento, attenuato dall'immobilità; deformazione, atteggiamento particolare dell'arto, la cui lunghezza è modificata (accorciamento o allungamento); abolizione dei movimenti attivi mentre permangono alcuni movimenti passivi (esagerazione della situazione anormale dell'arto) e dei movimenti anormali. La presenza di ecchimosi (lividi) deve far temere una frattura associata.
Terapia: non provare a ridurre la lussazione, poiché si tratta di una manovra delicata che soltanto un medico saprà fare. Provando a ridurre lalussazione, si rischia di strappare vasi e nervi e provocare una frattura. Per la riduzione il medico usa, a seconda dei casi e secondo che la lussazione sia più o meno recente: o manovre di dolcezza, che consistono nel premere metodicamente sulla parte spostata, in modo da spingerla verso la cavità articolare normale, o manovre di forza. Con queste ultime si mantiene il corpo solidamente fermo (contro estensione), poi si fa uno sforzo di trazione sull'arto lussato (estensione), sia direttamente che per mezzo di un laccio elastico. La riduzione avviene allora naturalmente o con un intervento chirurgico. L'anestesia permette di vincere la resistenza muscolare. In casi di lussazione irriducibile ( per interposizione di parti muscolari o tendinee tra le superfici articolari) o di lussazioni di vecchia data con aderenze, è necessario ricorrere ad un intervento chirurgico (riduzione cruenta). Dopo la riduzione l'immobilizzazione è necessaria per un periodo di tempo variabile.
Terapia: non provare a ridurre la lussazione, poiché si tratta di una manovra delicata che soltanto un medico saprà fare. Provando a ridurre lalussazione, si rischia di strappare vasi e nervi e provocare una frattura. Per la riduzione il medico usa, a seconda dei casi e secondo che la lussazione sia più o meno recente: o manovre di dolcezza, che consistono nel premere metodicamente sulla parte spostata, in modo da spingerla verso la cavità articolare normale, o manovre di forza. Con queste ultime si mantiene il corpo solidamente fermo (contro estensione), poi si fa uno sforzo di trazione sull'arto lussato (estensione), sia direttamente che per mezzo di un laccio elastico. La riduzione avviene allora naturalmente o con un intervento chirurgico. L'anestesia permette di vincere la resistenza muscolare. In casi di lussazione irriducibile ( per interposizione di parti muscolari o tendinee tra le superfici articolari) o di lussazioni di vecchia data con aderenze, è necessario ricorrere ad un intervento chirurgico (riduzione cruenta). Dopo la riduzione l'immobilizzazione è necessaria per un periodo di tempo variabile.
Paramorfismo: alterazione acquisita della forma esterna del corpo e dei suoi atteggiamenti funzionali abituali, dovuta ad astenia e ipotonia dei muscoli e dei legamenti.
PARAMORFISMI DELLA COLONNA VERTEBRALE:
SCOLIOSI: la scoliosi comporta uno spostamento laterale della colonna vertebrale
CIFOSI: la cifosi comporta una esagerata incurvatura dorsale
LORDOSI: nella lordosi si ha un'accentuazione dell'incurvatura lombare
In tutti e tre i casi citati, è necessario intervenire precocemente con ginnastica ed, eventualmente, con speciali corsetti per impedire che la malformazione divenga definitiva. Molto importante, ai fini di un armonico sviluppo di tutta l'impalcatura scheletrica, è anche il controllo della struttura del piede che, essendo la "base" di appoggio del corpo, influenza direttamente la conformazione e la disposizione degli elementi ossei di sostegno. Nel piede normale, il peso del corpo viene sostenuto nell'arco plantare. Può, però, verificarsi il caso in cui l'arco plantare non sia ben conformato ed in tal caso si verifica la situazione di "piede piatto". Per evitare questo difetto occorre una corretta impostazione della deambulazione ma, soprattutto, una scelta attenta delle calzature. Scarpe troppo strette in punta o con i tacchi esageratamente alti obbligano i piedi ad assumere una posizione forzata comprimendoli o deformandoli. Si consigliano, perciò, i tacchi non più alti di 2cm per i bambini, e non più di 6cm per gli adulti, e possibilmente la presenza di plantari che tengano l'arco plantare sufficientemente sollevato.
PARAMORFISMI DEL PIEDE:
SCOLIOSI: la scoliosi comporta uno spostamento laterale della colonna vertebrale
CIFOSI: la cifosi comporta una esagerata incurvatura dorsale
LORDOSI: nella lordosi si ha un'accentuazione dell'incurvatura lombare
In tutti e tre i casi citati, è necessario intervenire precocemente con ginnastica ed, eventualmente, con speciali corsetti per impedire che la malformazione divenga definitiva. Molto importante, ai fini di un armonico sviluppo di tutta l'impalcatura scheletrica, è anche il controllo della struttura del piede che, essendo la "base" di appoggio del corpo, influenza direttamente la conformazione e la disposizione degli elementi ossei di sostegno. Nel piede normale, il peso del corpo viene sostenuto nell'arco plantare. Può, però, verificarsi il caso in cui l'arco plantare non sia ben conformato ed in tal caso si verifica la situazione di "piede piatto". Per evitare questo difetto occorre una corretta impostazione della deambulazione ma, soprattutto, una scelta attenta delle calzature. Scarpe troppo strette in punta o con i tacchi esageratamente alti obbligano i piedi ad assumere una posizione forzata comprimendoli o deformandoli. Si consigliano, perciò, i tacchi non più alti di 2cm per i bambini, e non più di 6cm per gli adulti, e possibilmente la presenza di plantari che tengano l'arco plantare sufficientemente sollevato.
PARAMORFISMI DEL PIEDE:
PIEDE PIATTO (descritto in precedenza)
VARISMO: anomalia di posizione per cui gli assi longitudinali di due segmenti scheletrici contigui oppure di due parti dello stesso segmento non coincidono sul piano frontale (piano immaginario che passa tangenzialmente alla fronte),ma formano fra di loro un angolo aperto all'interno rispetto alla linea mediana del corpo. L'anomalia opposta è il valgismo.
VALGISMO: atteggiamento difettoso di due segmenti scheletrici contigui (oppure di due parti dello stesso segmento) per cui i loro assi longitudinali non coincidono sul piano frontale ( piano immaginario tangenziale alla fronte ), ma formano un angolo aperto verso l'esterno (rispetto alla linea mediana del corpo). L'anomalia opposta è il varismo. Le cause del valgismo sono varie: malformazioni congenite, rachitismo, paralisi poliomelitiche, traumatismi. Particolarmente importanti sono valgismo del ginocchio (ginocchio valgo) e del collo femorale (coxa valga).
VARISMO: anomalia di posizione per cui gli assi longitudinali di due segmenti scheletrici contigui oppure di due parti dello stesso segmento non coincidono sul piano frontale (piano immaginario che passa tangenzialmente alla fronte),ma formano fra di loro un angolo aperto all'interno rispetto alla linea mediana del corpo. L'anomalia opposta è il valgismo.
VALGISMO: atteggiamento difettoso di due segmenti scheletrici contigui (oppure di due parti dello stesso segmento) per cui i loro assi longitudinali non coincidono sul piano frontale ( piano immaginario tangenziale alla fronte ), ma formano un angolo aperto verso l'esterno (rispetto alla linea mediana del corpo). L'anomalia opposta è il varismo. Le cause del valgismo sono varie: malformazioni congenite, rachitismo, paralisi poliomelitiche, traumatismi. Particolarmente importanti sono valgismo del ginocchio (ginocchio valgo) e del collo femorale (coxa valga).
PARAMORFISMI DEL GINOCCHIO:
1)VARISMO (vedi varismo nei paramorfismi del piede)
2)VALGISMO: (vedi valgismo nei paramorfismi del piede).
2)VALGISMO: (vedi valgismo nei paramorfismi del piede).
Nessun commento:
Posta un commento