venerdì 28 giugno 2013

TECARTERAPIA

Cos’è la tecarterapia e i suoi benefici





Tecar è la nuova frontiera della fisioterapia applicata al mondo dello sport professionistico e nel campo del benessere. La Tecarterapia rappresenta una svolta rivoluzionaria nella patologia traumatologica non chirurgica, nella patologia osteoarticolare e dei tessuti molli.

Tecar  è fonte di nuova energia biocompatibile: l’efficacia della Tecarterapia si basa , infatti, sulla possibilità di trasferire energia biocompatibile ai tessuti lesi, inducendo all’interno le cosiddette correnti di spostamento. Ripristina la fisiologia tissutale mediante l’ipertermia(incremento della temperatura interna) profonda e l’innalzamento del potenziale energetico delle cellule dei tessuti trattati.
Tecar  garantisce tempi ridotti di trattamento e risultati immediati e stabili, perché è basata sulla stimolazione e il rafforzamento delle capacità riparative dei tessuti.
Tutta la fase operativa del trattamento viene eseguita manualmente quasi come un massaggio. Non servono strumentazioni automatiche di controllo o misuratori elettronici in quanto si tratta di una terapia fisica naturale.
Infatti la tecnologia dell’apparecchiatura trasforma il massaggio manuale effettuato dall’operatore;  il massaggio acquista una qualità nuova diventando più profondo e fortemente stimolante, grazie all’intensa riattivazione del microcircolo, linfatico e sanguigno.
Tecar svolge in sintesi tre azioni fondamentali: 

1 una immediata ed efficace azione analgesica che avviene agendo sulle terminazioni                   nervose;                   
2      un’azione drenante dei tessuti;    
3      una stimolazione funzionale del circolo periferico attraverso l’incremento della temperatura endogena.
Tecar, in sinergia con la terapia farmacologica praticata a scopo antalgico ed antinfiammatorio, ne potenzia l’azione, soprattutto mirata all’eliminazione del dolore e dell’edema.
Grazie alla flessibilità della Tecarterapia, è possibile ripetere più sedute nella stessa giornata o prolungare la stessa seduta nei casi in cui sia necessario ottenere risultati ancora più rapidi, come per esempio negli sportivi professionisti.



Patologie curate e risolte con la tecarterapia

Tecar è in grado di trattare con efficacia e in tempi brevi le patologie di:

1   mani;
2   spalla;
3   anca;
4   ginocchio;
5   caviglia;
6   colonna vertebrale.
Patologie dolorose infiammatorie, osteoarticolari e muscolari quali rizoartrosi, epicondilite e epitrocleite, S. del tunnel carpale, S. da conflitto sub-acromiale, fascite plantare, metatarsalgia.  Cervicalgia , cervicobrachialgia, lombalgia e lombosciatalgia.  Lesioni traumatiche acute o postumi di fratture. Nel postchirurgico protesico. Medicina estetica (cellulite).
Alcune precauzioni vanno prese nei soggetti portatori di pacemaker, nelle persone insensibili alla temperatura e nelle donne in gravidanza.
tecarterapia-matera-1

giovedì 16 maggio 2013

L'umidità e i dolori articolari


L’umidità e i dolori articolari



Gli effetti del clima sulle articolazioni


Prevenire e combattere gli effetti del clima sulle articolazioni





Anche la riduzione della pressione atmosferica può contribuire a far sentire maggiormente i dolori. Nelle giornate instabili, più fredde o umide, il risveglio può essere veramente “pesante”.
Che fare in questi casi?

giovedì 9 maggio 2013

L' epicondilite





l’epicondilite (il gomito del tennista)



L’epicondilite, conosciuta più comunemente come gomito del tennista, è una sindrome dolorosa dovuta generalmente ad una degenerazione del tendine e/o ad un sovraccarico funzionale dei muscoli epicondiloidei. Questi muscoli, localizzati nella regione laterale del gomito e dell’avambraccio, originano dall’ epicondilo (Fig.1), si inseriscono sul polso e sulla mano ed hanno la funzione di estendere il polso e le dita. (Vedere la sezione di Anatomia per approfondimento).



  


La diagnosi è prevalentemente clinica, ossia viene eseguita visitando il paziente. Nella valutazione clinica del paziente va posta attenzione al tipo di attività sportiva o lavorativa svolta ed alla presenza di pregresse tendinopatie come le patologie della cuffia dei rotatori, La malattia di De Quervain ed il dito a scatto che sono espressione di una predisposizione individuale per le tendinopatie degenerative. Clinicamente il dolore è localizzato in corrispondenza dell’epicondilo laterale (fig 1 ) e si irradia all’avambraccio lungo i muscoli interessati fino alla mano. In modo caratteristico si evoca il dolore facendo contrarre contro resistenza i muscoli epicondiloidei con opportuni test clinici.


Fig. 4 Test per epicondilite

Le indagini strumentali tra cui la radiografia, l’ecografia e la risonanza magnetica , servono a confermare il sospetto clinico e ad escludere altre cause di dolore laterale al gomito.

EcografiaRadiografiaRMN


TRATTAMENTO

Il trattamento dell’epicondilite è diretto alla risoluzione del dolore, che è il sintomo per il quale il paziente affetto da tendinosi del gomito richiede l’intervento del medico. I presidi terapeutici di prima istanza consistono nell’interruzione delle attività sportive o lavorative che determinano il sovraccarico funzionale, nell’uso di farmaci anti-infiammatori e di presidi fisioterapici (tutori Fig. 6, crioterapia ed altre forme di terapia fisica quali laserterapia,  e ionoforesi).





Se queste procedure hanno successo, segue un programma riabilitativo graduale teso a restituire elasticità, forza e resistenza ai gruppi muscolari interessati. Qualora invece il paziente non risponda al programma terapeutico può essere appropriato ricorrere ad infiltrazioni locali con cortisonici. Generalmente si esegue un ciclo di due o tre infiltrazioni.

Recentemente, negli Stati Uniti è stato sperimentato, con risultati incoraggianti, il trattamento dell’epicondilite con infiltrazioni di Pappa Piastrinica. La Pappa Piastrinica, ricca di fattori di crescita, viene ottenuta dal sangue dello stesso paziente attraverso un semplice processo di centrifuga ed iniettata in prossimità dell’epicondilo circa 30 minuti dopo il prelievo.


  

 Da sinistra a destra: la centrifuga, il prelievo del gel piastrinico, l'infiltrazione a livello dell'origine dei tendini estensori.


In alcuni casi, nell’epicondilite, è necessaria l’esplorazione contestuale del nervo radiale (interosseo posteriore). Questo è da alcuni consigliato quando non viene riscontrato un abbondante tessuto degenerato sul tendine e nei casi con sintomatologia mista.



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martedì 7 maggio 2013

La cuffia dei rotatori



La cuffia dei rotatori: anatomia e fisiologia




La cuffia dei rotatori è un complesso muscolo-tendineo costituito dall'insieme di quattro muscoli e dai rispettivi tendini:
superiormente troviamo il tendine del muscolo sovraspinato, anteriormente quello del muscolo sottoscapolare e posteriormente i tendini dei muscoli sottospinato e piccolo rotondo.
Questi muscoli con la loro contrazione tonica stabilizzano la spalla impedendone la lussazione (fuoriuscita della testa omerale dalla cavità glenoidea). I tendini piuttosto vasti (circa cinque centimetri) proteggono l'intera articolazione formando una vera e propria cuffia che avvolge la parte superiore dell'omero.


sovraspinato anatomiaSOVRASPINATO o sovraspinoso: con la sua azione abduce e ruota all'esterno (extraruota) il braccio, in sinergia con l'azione del deltoide
infraspinato anatomia sottospinatoSOTTOSPINATO O INFRASPINATO: con la sua azione ruota esternamente il braccio e rinforza la capsula dell'articolazione scapolo omerale, stabilizzandola.
anatomia sottoscapolareSOTTOSCAPOLARE: con la sua azione adduce e ruota verso l'interno il braccio (intrarotatore)
piccolo rotondoPICCOLO ROTONDO: Con la sua azione, sinergica nei confronti dell'infraspinato , ruota debolmente verso l'esterno il braccio

Lesioni della cuffia dei rotatori: sintomi, diagnosi

Tra i quattro muscoli che compongono la cuffia dei rotatori, il sovraspinato è quello che si lesiona più frequentemente. In realtà quando si parla di rottura della cuffia dei rotatori non si fa riferimento a lesioni di natura muscolare ma tendinea.
Il tipo di ferita può variare da un'infiammazione tendinea locale, senza alcun danno permanente, ad una lesione parziale o completa che potrebbe richiedere l'intervento di riparazione chirurgica.
In entrambi i casi si registrerà un deficit più o meno marcato nella forza di abduzione del braccio. In particolare il soggetto faticherà a mantenere il braccio sollevato lateralmente tra i 60° ed i 120°. Un apposito test per diagnosticare la lesione della cuffia dei rotatori andrà proprio a testare la risposta muscolare del paziente in questi angoli di movimento.


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Una lesione dei tendini di uno o più muscoli che compongono la cuffia dei rotatori può avvenire anche a causa di un trauma (caduta sulla spalla) o di una borsite sub-acromiale. Quando una persona cade sbattendo la spalla, l'acromion subisce una pressione che lo fa picchiare sulla cuffia dei rotatori. Se l'impatto è abbastanza violento l'osso può ledere i tendini. L'entità del trauma, la forma della superficie inferiore dell'acromion (più o meno tagliente; acromion uncinato), ma anche la flessibilità dei muscoli e dei tendini che compongono la cuffia dei rotatori, andranno ad incidere sull'entità della lesione (completa o parziale).
Anche una caduta in appoggio su braccio extraruotato (quando si cade si tende a ruotare il braccio verso l'esterno in modo da creare un solido punto di appoggio per proteggere il resto del corpo) o su braccio intraruotato ed addotto può andare a lussare anteriormente o posteriormente la spalla danneggiando i tendini della cuffia.
Spesso a tale lesione si associa, come abbiamo visto, una rottura dei capillari tendinei che riempiendosi di sangue si gonfiano diventando dolorosi. Dopo il trauma il dolore può persistere per alcuni mesi accentuandosi o diminuendo in base al tipo e all'intensità dell'attività fisica praticata.
Le lesioni della cuffia dei rotatori dovute ad uso eccessivo sono più comuni negli anziani o negli atleti di alcune discipline sportive (vedi sopra). Nell'anziano, con il disuso, i tendini perdono elasticità diventando più suscettibili alle lesioni durante movimenti impegnativi (sollevare carichi pesanti, tagliare la siepe, imbiancare il soffitto, lavare i vetri, movimenti bruschi ecc.). Spesso nell'anziano vi è assenza di sintomatologia dolorosa o questa è molto lieve nonostante la lesione.
La borsite sub-acromiale è un infiammazione dell'omonima borsa e anch'essa può essere un'importante causa di dolore alla spalla. Si tratta in sostanza di un piccolo sacchetto ripieno di liquido posto sotto l'acromion della scapola per impedire lesioni da sfregamento della cuffia dei rotatori sull'osso. Quando questa borsa si infiamma (a causa di un trauma o di uso eccessivo) va a comprimere le strutture tendinee comprese nello spazio sotto-acromiale favorendone la degenerazione.
La lesione della cuffia dei rotatori è spesso associata a lesione del capo lungo del muscolo bicipite, attivo durante la flessione e l'abduzione della spalla.


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Cuffia dei rotatori riabilitazione

Trattamento e riabilitazione

PREMESSA: mantenere un buon equilibrio della muscolatura con il passare degli anni aiuta a rendere tonici ed efficienti muscoli e tendini migliorando la coordinazione dei movimenti. Al contrario, con il disuso, queste importanti strutture anatomiche diventeranno più deboli, più rigide ed ovviamente più suscettibili a lesioni.


Se la lesione della cuffia è significativa e l'atleta è molto giovane solitamente viene consigliato l'intervento chirurgico per evitare il rischio di fratture, lussazioni ed artrite. Nella maggioranza dei casi questo intervento viene eseguito in artroscopia grazie all'ausilio delle fibre ottiche. L'intervento chirurgico in una buona parte dei casi (75-90%) diminuisce considerevolmente il dolore fino alla sua completa scomparsa. Meno prevedibile è invece il recupero funzionale, che risulta completo solo in una modesta percentuale di casi (40-50%).
Il trattamento conservativo, che viene sempre tentato prima di passare ad un eventuale intervento chirurgico, prevede nel periodo iniziale la somministrazione regolare di farmaci antinfiammatori per ridurre dolore ed infiammazione. Eventualmente il medico potrà optare per una iniezione locale di cortisonici, specie se il dolore è particolarmente intenso. Quando i sintomi si riducono significativamente si passa ad esercizi di rinforzo ed allungamento della muscolatura.
La guarigione spontanea di una rottura parziale è piuttosto improbabile considerata la complessità anatomica della regione e la scarsa circolazione sanguigna dei tendini. Il periodo di guarigione ovviamente varia in relazione al tipo e all'entità della lesione ed in base al trattamento scelto (conservativo o chirurgico).
In genere i tempi di recupero in caso di lesione sono piuttosto lunghi: dopo un periodo di immobilizzazione iniziale (6-12 giorni indossando un tutore che protegga l'articolazione) vengono infatti iniziati esercizi di micromobilizzazione passiva.
Solo dopo quattro o sei settimane possono iniziare esercizi attivi di intensità crescente nel tempo che dopo 4-6 mesi dalla lesione restituiranno alla spalla buona parte della forza che aveva precedentemente. Particolarmente utili risultano i seguenti esercizi di mobilità da svolgere inizialmente a corpo libero poi contro resistenza elastica o in acqua:


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domenica 5 maggio 2013

L’abusivismo in Riabilitazione




                                                 L'ABUSIVISMO IN RIABILITAZIONE

A causa di carenze legislative, è purtroppo presente e assai ramificato, soprattutto nel settore della Riabilitazione in cui opera il Fisioterapista, il fenomeno dell’abusivismo.

“A fronte di circa 50.000 Fisioterapisti/Terapisti della Riabilitazione abilitati ad esercitare la professione, ci sono in Italia almeno 100.000 personaggi, non altrimenti definibili che con il nome di millantatori, che senza essere edotti di cosa sia la Riabilitazione, né possedere titoli e prerogative per esercitarla, disinvoltamente praticano le loro sciagurate ‘manipolazioni’ su sprovveduti quanto inconsapevoli cittadini” (da un Documento dell’Associazione Italiana Terapisti della Riabilitazione – A.I.T.R., ora Associazione Italiana Fisioterapisti – A.I.FI.).
Il fenomeno è preoccupante, perché “…almeno il 5% degli italiani che giornalmente si affidano a interventi di Riabilitazione, incappando in sedicenti riabilitatori, subiscono danni gravi, talvolta addirittura irreversibili… La falsa Riabilitazione non si annida solo presso compiacenti cliniche o studi privati, ma prospera spesso anche presso pubbliche strutture nosocomiali, create, invece, per salvaguardare al meglio la salute del cittadino” (Documento A.I.T.R./A.I.FI. citato).

Sono inoltre da considerare abusivi della Riabilitazione, quegli operatori, del comparto sanità e non, che in possesso di altre competenze e formati per altre attività, si “autopromuovono” Fisioterapisti/Terapisti della Riabilitazione ed “esercitano” la professione.

Non sono, così, da considerare Fisioterapisti i professori di educazione fisica, i cosiddetti ISEF, o i più recenti Laureati in Scienze Motorie, in quanto operatori formati per il settore dell’istruzione e dello sport, o, al massimo, per l’area “della prevenzione e dell’educazione (non riabilitazione) motoria adattata, finalizzata a soggetti di diversa età e a soggetti disabili”.
La Legge istitutiva della “Laurea in Scienze Motorie” (D.L. 8 maggio 1998 n.178, pubblicato sulla G.U. n.131 dell’8.6.’98) che riguarda tali operatori, stabilisce infatti testualmente, al punto 7 dell’art.2 che: “Il Diploma di laurea in scienze motorie non abilita all’esercizio delle attività professionali sanitarie di competenza dei laureati in medicina e chirurgia e di quelle di cui ai profili professionali disciplinati ai sensi dell’articolo 6, comma 3 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.502, e successive modificazioni e integrazioni”, fra cui, appunto, si trova il Profilo del Fisioterapista/Terapista della Riabilitazione.

Nel 2006 è stato fatto un subdolo e vergognoso tentativo di rendere equipollente la laurea in scienze motorie a quella in Fisioterapia, introducendo di soppiatto in una legge di urgente approvazione, il famigerato art. 1-septies, che prevedeva appunto tale equipollenza tramite una non ben precisata frequenza a indefinito “corso su paziente”. L’art. 1-septies  è rimasto “lettera morta” per 5 anni e due legislature ed e stato definitivamente abrogato dall’Aula del Senato il 5 aprile 2011, che ha definitivamente convertito in legge il ddl 572/B.

Non sono da considerare Fisioterapisti neppure i cosiddetti cinesiologi.
La “cinesiologia”, cioè lo studio del movimento, é disciplina comune sia agli ISEF che ai fisioterapisti, ma curare il movimento o con il movimento, spetta esclusivamente a chi svolge un’attività sanitaria abilitata.

Non sono da considerarsi Fisioterapisti neppure i cultori di quelle che vengono definite “medicine naturali” o “terapie non convenzionali”, come l’osteopatia, la chiropratica, lo schiatzu, il micromassaggio estremo-orientale, l’auricoloterapia, altre discipline della Medicina Orientale, ecc.
L’efficacia terapeutica di molte medicine naturali e terapie non convenzionali è ampiamente dimostrata, ma  poiché esse intervengono nella sfera della salute e della patologia, il loro esercizio e la loro pratica si ritiene debbano essere di esclusiva pertinenza delle professioni sanitarie abilitate alla pratica terapeutica (come il Fisioterapista) e non di operatori (o individui) privi di formazione di base specifica. Non devono essere confusi terapia e soggetto che la pratica. “L’esistenza di una terapia o di una metodica terapeutica, non individua necessariamente una professione (ovvero un profilo professionale). Ogni terapia o metodica terapeutica, costituisce solamente “uno strumento a disposizione del professionista sanitario, deputato al suo utilizzo, che la applicherà in scienza e coscienza, a seconda dell’opportunità o della effettiva necessità della persona assistita” (da un Documento dell’A.I.T.R/A.I.FI. al riguardo). In altre parole, non possono essere considerati Fisioterapisti l’osteopata, il chiropratico, lo schiatzuterapista, l’auricoloterapista, ecc., perché la conoscenza della terapia non abilita automaticamente al suo esercizio e non denomina un operatore sanitario specifico.

E’ equipollente come titolo al Fisioterapista, invece il massofisioterapista con diploma  triennale conseguito in base alla legge 403/71 diplomatosi entro il 17 marzo 1999 da corsi iniziati entro il 31 dicembre 1995. Questo operatore gode dell’equipollenza automatica  in base all’articolo 4, comma 1, della legge 42/99.

Il massofisioterapista biennale, con titolo  conseguito in base alla legge 403/71 e diplomatosi entro il 17 marzo 1999, da corsi iniziati entro il 31 dicembre 1995, può godere della equivalenza (non equipollenza) al fisioterapista in base all’articolo quattro, comma due, legge 42/99. La procedura per il riconoscimento dell’equivalenza si avvia su istanza dell’interessato e deve essere inoltrata, a partire da giugno 2012, alla Regione o alla Provincia Autonoma che ha autorizzato e svolto il corso al termine del quale è stato conseguito il titolo di cui si chiede la valutazione ai fini dell’equivalenza.

Non lo è invece in assoluto il massaggiatore sportivo, i cui compiti sono definiti dalla sua stessa denominazione.Il titolo di  massaggiatore sportivo è conseguibile sia da masso-fisioterapisti equipollenti-equivalenti, che da fisioterapisti, come approfondimento della formazione base, con appositi corsi.

Non sono professione sanitaria di area riabilitativa nemmeno i Massaggiatori Capo Bagnini degli stabilimenti idroterapici (MCB) che alcune Regioni hanno ripreso  a formare grazie al  fatto che il Regio Decreto 1334 del 1928 non è mai stato soppresso. 
Questo operatore rientra tra  è le arti ausiliarie delle professioni sanitarie.
Di questa figura si è interessato il Tar di Milano che, con sentenza n. 676/11, ad oggi esecutiva, fa proprie le indicazioni  del Ministero della Salute, secondo le quali il MCB può “svolgere  la propria attività esclusivamente in rapporto di dipendenza e sotto la supervisione e responsabilità del fisioterapista“.
Inoltre, sempre in sentenza, si chiarisce che il suo campo operativo  resta limitato allo svolgimento di compiti meramente esecutivi e, anche se non è chiaro quali siano, di sicuro non può andare ad intaccare gli atti riservati alle professioni sanitarie. 
Questa figura poi, anche per il Giudice,  non risulta tra quelle necessarie per ottenere l’accreditamento delle Strutture, ma potrebbe essere assunta eventualmente in sovrappiù.

Ricostruendo, poi, l’impianto normativo,  il Giudice, boccia senza mezzi termini anche i massofisioterapista post ’96, quando asserisce che: ” Tutte le altre tipologie di impiego nel settore sono state considerate soppresse, così come i relativi corsi di formazione, salvo l’eventuale riordino in base alla nuova normativa sull’ordinamento universitario“. (omissis) ” per cui  se ne può concludere che l’unica figura professionale ormai ammessa dall’ordinamento nell’indicato settore di attività è quella di fisioterapista”.

Sul massofisioterapista post 1996 è intervenuto anche il Tar dell’Umbria che con sentenza n.  5 del 15 gennaio 2010 ne cambia lo status: da professione sanitaria ausiliaria a operatore di interesse sanitario, con nessuna autonomia.
Il Giudice, dopo aver spiegato correttamente come ad oggi non sia più possibile formare professioni sanitarie diverse da quelle previste dalla normativa vigente, scopre, da un vecchio mansionario del massofisioterapista del 1976, che questo operatore ” non esercita la propria attività con autonomia professionale, in quanto svolge terapie che gli competono in ausilio all’opera dei medici e secondo le istruzioni del sanitario” e pensa si possano continuarne i corsi di formazione, perchè “operatori di interesse sanitario non riconducibili alle professioni sanitarie“. 
Questo grazie alla legge 43/06 là dove afferma che “Resta ferma la competenza delle regioni nell’individuazione e formazione dei profili di operatori di interesse sanitario non riconducibili alle professioni sanitarie. Operatori questi che, però, non si possono confondere nemmeno con  le arti, perchè, come ha sancito la Corte Costituzionale, con sentenza. 300/2007,  sono riferiti esclusivamente ad attività aventi carattere “servente” ed “ausiliario” (come l’Operatore Socio Sanitario – OSS) peraltro ad un livello inferiore rispetto a quello proprio delle «arti ausiliarie delle professioni sanitarie», anche esse rientranti nella materia delle professioni di cui all’art. 117, terzo comma e quindi di competenza statale. Anche per il Tar umbro resta fermo che: ” Come esposto, in base all’articolo 1, della legge 43/2006, la soppressione delle figure professionali sanitarie non più attuali deriva automaticamente dalla mancata inclusione nell’elenco di quelle espressamente riconosciute dal d.m. 29 marzo 2001″, tra le quali non figura il massofisioterapista. Questa sentenza è attualmente avanti al Consiglio di Stato.


NOTA BENE
Le figure professionali di massaggiatore e operatore della salute (Mos), operatore del massaggio sportivo e  quello di operatore di tecniche orientali create da Regione Lombardia, sono state soppresse dai vari gradi di giudizio dei tribunali competenti. I titoli rilasciati non hanno nessuna valenza e non abilitano a niente.

L’abusivismo in Riabilitazione produce anche un danno economico, sia all’utente (in termini di tariffe spesso esagerate, non giustificate dalla necessaria professionalità e sovente neppure fatturate), sia agli Enti legalmente preposti all’erogazione di simili prestazioni (che si vedono sottrarre pazienti), sia allo Stato (in termini di evasione fiscale).
Tale attività illegale può configurarsi come vera e propria truffa e, opportunamente sensibilizzati al riguardo dalle Associazioni di categoria e dalle Associazioni dei consumatori, se ne stanno occupando con sempre maggior frequenza i Nuclei Antisofisticazioni (N.A.S.), che hanno intensificato i controlli su tutto il Territorio Nazionale.
A ribadire ulteriormente la diffusione e la pericolosità del fenomeno dell’abusivismo in Riabilitazione, sta anche il fatto chenel 1997 è stata fondata, a Trento, l’Associazione Nazionale Vittime dell’Abusivismo in Riabilitazione (A.N.V.A.R.), con lo scopo di tutelare ed informare pazienti ed operatori del settore. Fondatrice una giovane signora trentina, vittima di gravi lesioni fisiche permanenti, causate da un “riabilitatore” abusivo a cui si era affidata con fiducia (e poca informazione) .




OPERATORI CHE NON SONO ABILITATI AD OPERARE NEL SETTORE SANITARIO
MASSOTERAPISTI
Una nota circolare del Ministero (12/9/2002, DIRP/V/02/2715) ha chiarito che attualmente la figura del massoterapista NON ESISTE e gli eventuali corsi NON ABILITANO nessuno. In questi termini possono essere perseguiti se promettono abilitazione nel settore “riabilitazione”, “rieducazione”,”fisioterapia”,etc…
MASSAGGIATORI SHIATSU
Quella del massaggio Shiatsu è da considerarsi pratica sanitaria a tutti gli effetti come da recente (e ancora poco conosciuta) nota del Ministero della Salute.
Il Ministero, rispondendo ad un quesito dell’Autorità Giudiziaria/Ordine pubblico, relativa all’esercizio dello Shiatsu in Italia, ha chiarito che “esistono due tipi di massaggi (estetico oppure curativo). Lo shiatsu rientra tra le attività curative, pertanto tale pratica spetta al medico, al fisioterapista e al massofisioterapista” (7 luglio 2002 DIRP/III/MDAL/02/8974, Proc. Pen. 8075/01 R.g..) Ovvio che per massofisioterapista è necessario intendere l’operatore in possesso di titolo valido.
MASSOFISIOTERAPISTI  DIPLOMATI  IN  CORSI  INIZIATI  DOPO  IL  1996
I titoli rilasciati a seguito dei corsi iniziati dopo il 1996 non sono da ritenersi validi, perché emessi in contrasto di Legge dello Stato, art.6 D.Lgs 502/92. Lo Stato ha infatti disposto la chiusura di tutte le scuole per massofisioterapista dal 1992, delegando la formazione alle Università. Le Regioni non possono creare nuove figure sanitarie. Il T.A.R. Piemonte, con sentenza n. 223/03 depositata il 18 febbraio 2003, ha escluso che al di fuori delle professioni sanitarie individuate secondo il disposto dell’articolo 6, comma 3 del D.Lgs. n. 502/92, possano permanere o essere introdotte altre figure sanitarie, anche da parte delle Regioni, senza con ciò tradire la “ratio” della riforma voluta dal legislatore per allineare il nostro ordinamento a quello europeo.
ISTRUTTORI DI EDUCAZIONE FISICA O LAUREATI IN SCIENZE MOTORIE
Lo stesso Decreto Istitutivo del C.d.L. in Scienze Motorie sancisce che questi operatori non possono operare nel campo delle professioni sanitarie, tra le quali è compreso il fisioterapista. Inoltre il Ministero della Sanità, in una sua nota, ha dichiarato che “il diplomato ISEF non trova legittimità in alcun modo ad operare nel settore terapeutico-riabilitativo, proprio del Fisioterapista, giacché il primo, pur operando sul benessere del corpo, come pure opera la seconda figura, effettua interventi di ambito, per così dire, fisiologico, laddove l’intervento del Fisioterapista mira, invece, attraverso l’intervento e le manovre terapeutiche a restaurare, per quanto possibile, la funzionalità di strutture fisiche colpite da forma patologica”. Il precedentemente citato art. 1-septies della legge 27/2006, che voleva rendere equipollente la laurea in scienze motorie a quella in fisioterapia, tramite frequenza ad imprecisato “corso su paziente”, è di fatto stato abrogato, ripristinando la legalità.
AVVERTENZE AI PAZIENTI E AI PROFESSIONISTI IN MATERIA DI ABUSIVISMO
Chiunque eserciti abusivamente una professione per la quale sia richiesta una speciale abilitazione dello Stato, commette il reato di “Esercizio abusivo di una professione”, ex art. 348 del Codice Penale.
Il fisioterapista, come gli altri professionisti sanitari, incorre nel reato di “Omessa denuncia”, ex art. 362 del C.P., se “omette o ritarda di denunciare all’Autorità competente un reato del quale abbia avuto notizia nell’esercizio o a causa del servizio”.
Ogni assegnazione di compiti e mansioni proprie del fisioterapista a personale privo di titolo valido è illegittimo e può inoltre comportare, in caso di eventi lesivi e non, una responsabilità in sede giudiziaria civile e/o amministrativa, da parte degli amministratori e dei funzionari dei centri dove viene eseguita in modo abusivo questa mansione. Una ulteriore loro responsabilità deriva dalla violazione dell’art. 348 del C.P.

sabato 4 maggio 2013

Prevenire con l'attività fisica





Prevenire con l'attività fisica




Il 9% circa della popolazione italiana è afflitto da obesità , un terzo è in sovrappeso, oltre il 20% fuma.
Obesità, sovrappeso e fumo sono fattori di rischio che possono essere rimossi adottando corretti stili di vita e portando, di conseguenza, ad una riduzione significativa dell'incidenza di patologie tra le più diffuse e gravi.
Prevenire significa porre in atto tutta una serie di azioni finalizzate a eliminare o a ridurre al minimo il verificarsi di situazioni dannose, o comunque pericolose sia per le persone, che per gli animali e le cose.
In campo sanitario, con prevenzione si intende l'insieme delle azioni volte al mantenimento o al miglioramento dello stato di salute, quindi volte ad anticipare l'insorgere di un determinato tipo di patologia, o a curarne gli effetti, o a limitarne i danni.
Esistono infatti tre livelli di prevenzione:  
                                                                                 
           Primaria: evita o contrasta l'insorgere di una patologia                                                                     Secondaria:è legata alla diagnosi precoce di una patologia nascente                                           Terziaria: cura e riduce i "danni" prodotti da una patologia, limitando le complicazioni.
Esempi di prevenzione ai vari livelli:
  • Prevenzione primaria: svolgere una sana e regolare attività fisica, abbinata a un'alimentazione equilibrata sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo
  • Prevenzione secondaria: cominciare a praticare attività fisica e ad avere un corretto regime alimentare, perché il peso corporeo è ormai troppo alto e si fa fatica a salire una rampa di scale o ad allacciarsi le scarpe
  • Prevenzione terziaria: praticare attività fisica perché prescritta dal medico, che ha riscontrato, ad esempio, un'ipertensione arteriosa. Quindi movimento come terapia "riabilitativa" e preventiva contro eventuali recidive.
Innumerevoli studi hanno dimostrato quanto l'esercizio fisico sia importante per il benessere del corpo e della mente.
Dell'importanza del movimento ci si è accorti in questi ultimi decenni, durante i quali il trend delle "cattive abitudini alimentari e sociali" - conseguenza del "benessere">moderno - ha portato progressivamente ad una vera e propria pandemia. Prevenzione saluteEsempi banali sono: l'utilizzo indiscriminato dell'automobile anche per fare poche decine di metri, il telecomando, l'ascensore, la console ed i loro videogiochi, i fast-food etc.
Come conseguenza di tutto questo, la qualità della vita, apparentemente migliorata, è in realtà peggiorata!
è per questo che  - da personal trainer e da genitore -  sento la responsabilità di operare nel miglior modo possibile per promuovere la salute con un alto livello di qualità.
Il personal trainer, in quanto esperto del movimento, può e deve giocare un ruolo fondamentale in campo preventivo, ponendo  le proprie attenzioni e competenze a disposizione di chi vuole migliorare il proprio stato di salute e benessere psico-fisico.
È sempre il personal trainer che, attraverso il movimento,  deve farsi promotore della salute, dove per promozione della salute si intende:
"il processo che consente alle persone di esercitare un maggior controllo sulla propria salute e di migliorarla" (secondo la "Carta di Ottawa" - sottoscritta dagli Stati appartenenti all'Organizzazione Mondiale della Sanità).
Ma quali sono i benefici che l'attività fisica regolare può produrre?

Tra i tanti, eccone alcuni tra i più rilevanti:
  • A livello cardiovascolare- Migliora la funzionalità cardiaca: aumentano le cavità (atri e ventricoli), le pareti diventano più spesse e forti, quindi il cuore pompa più sangue ad ogni contrazione
    - Si riducono le resistenze dei vasi a livello periferico, con miglioramenti importanti sulla pressione sia diastolica che sistolica
    - Migliora lo scambio, il trasporto e l'utilizzo dell'ossigeno
    - Aiuta a prevenire patologie cardiovascolari, quali l'ipertensione arteriosa, l'ictus, la malattia coronarica, le cardiomiopatie
  • A livello muscoloscheletrico
    - Migliora la forza, il trofismo muscolare e la flessibilità
    - Migliora la coordinazione, l'equilibrio e si riduce il rischio di cadute
    - Migliora la percezione del sé
    - Ritarda l'insorgenza dell'osteoporosi e ne rallenta l'avanzamento
 * Viene definita "a rischio sindrome metabolica" la condizione di persone che presentino associati tre o più dei seguenti sintomi:
> indice di massa corporea (rapporto esistente tra peso e altezza: peso(kg)/statura (metri) 2) superiore a 30
> girovita superiore a 102 cm per gli uomini e a 88 cm per le donne
> ipertensione arteriosa superiore a 130 (massima) e 90 (minima)
> glicemia a digiuno superiore a 110 mg/dl (100 mg/dl secondo l'ADA)
> colesterolemia superiore a 200 mg/dl
> trigliceridi superiori a 150 mg/dl
  • A livello psicologico- L'esercizio fisico garantisce benefici a livello emotivo, incrementando l'energia e rafforzando la prospettiva ottimistica della vita e l'immagine positiva di sé
    - Riduce i livelli di stress e di tensioni nervose
    - Favorisce e potenzia il riposo notturno
Quindi, per potenziare la propria salute, quale modo migliore di praticare attività fisica con regolarità e apportare radicali e duraturi cambiamenti al proprio stile di vita?

A vederlo sembrerebbe un panorama idilliaco, in cui tutto è facile e lineare, ma non lo è.
Infatti, se praticata con i dovuti modi, e magari sotto la guida di un professionista del movimento, l'attività fisica può essere considerata un investimento sul presente e sul futuro, a prescindere dall'età. È ovvio che prima si comincia, meglio è.
Allo stesso tempo, se praticata in maniera discontinua, disordinata o in eccesso, potrebbe essere fonte di infortuni.
C'è da dire anche che l'allenamento fatto con tutti i criteri e sotto la supervisone di un allenatore personale non ci mette al riparo dagli infortuni, ma sicuramente ci espone in maniera più limitata a tali evenienze, tanto che se dovessimo porre su una bilancia benefici e rischi dell'attività fisica, l'ago penderebbe in maniera netta dalla parte dei primi.

Concludendo, ritengo sia doveroso per ciascun individuo - giovane, adulto, anziano, uomo o donna -  assumere un atteggiamento positivo verso qualsiasi forma di movimento e di stile di vita sano. Naturalmente spetta a noi genitori avviare i nostri figli all'attività fisica e soprattutto dare l'esempio,  praticandola in prima persona.

venerdì 3 maggio 2013

Lo strappo muscolare








Lo strappo muscolare




Lo strappo, o distrazione muscolare è una lesione piuttosto grave che causa la rottura di alcune fibre che compongono il muscolo. Tale lesione è generalmente causata da un'eccessiva sollecitazione (brusche contrazioni o scatti improvvisi) ed è piuttosto frequente in ambito sportivo (soprattutto negli sport che richiedono un movimento muscolare esplosivo come sollevamento pesi, baseball, calcio, gare di sprint e di salto).
Spesso gli strappi muscolari avvengono in condizioni di scarso allenamento o quando il muscolo è particolarmente stanco o impreparato a sostenere lo sforzo (mancato riscaldamento).
strappo muscolare sportSebbene lo strappo possa colpire qualsiasi muscolo del corpo, le sedi più frequentemente colpite sono gli arti, mentre più raramente si possono riscontrare patologie a carico della muscolatura addominale e dorsale. In particolare negli sportivi sono frequenti lesioni ai muscoli della coscia (flessoriadduttoriquadricipite) e della gamba (tricipite surale). Una distrazione muscolare frequente nei culturisti è invece quella che coinvolge il tricipite e/o il deltoide durante gli esercizi di spinta su panca piana.
In relazione al numero di fibre coinvolte (in un muscolo sono presenti diverse migliaia di fibre) gli strappi muscolari si possono classificare usando una scala di gravità composta da tre stadi.
LESIONE DI PRIMO GRADO: in questo tipo di lesione sono danneggiate solo poche fibre muscolari (meno del 5%). Il danno è tutto sommato modesto e viene avvertito come un leggero fastidio che si accentua durante la contrazione e l'allungamento muscolare. In caso di lesione di primo grado non si ha quindi un'importante perdita di forza o limitazione del movimento.
LESIONE DI SECONDO GRADO o lesione grave: la gravità dello strappo aumenta poiché viene coinvolto un maggior numero di fibre. Il dolore, acuto è simile ad una fitta e viene chiaramente avvertito in seguito ad una violenta contrazione muscolare. La lesione interferisce con il gesto atletico ma consente allo sportivo di continuare la gara o l'allenamento. Tuttavia il dolore può essere aggravato da ogni tentativo di contrarre il muscolo.
LESIONE DI TERZO GRADO o lesione gravissima: l'alto numero di fibre coinvolte causa una vera e propria lacerazione del ventre muscolare (completa o semi completa coinvolge comunque almeno 3/4 delle fibre). Tale lesione si avverte alla palpazione come un avvallamento, un vero e proprio scalino che testimonia l'entità della rottura.
Il dolore, violentissimo determina una completa impotenza funzionale tanto che se la lesione coinvolge gli arti inferiori l'atleta si accascia immediatamente al suolo
Strappo muscolo
Lo strappo muscolare può essere paragonato alla progressiva rottura di una corda messa in tensione da due tiranti. In un primo momento si sbrogliano solo alcune fibre (lesione di I grado) e mano a mano che si incrementa la forza di trazione lo sfilacciamento diventa sempre più evidente (lesione di II grado) fino alla completa rottura della corda (lesione di III grado).


I sintomi

Il soggetto colpito da uno strappo muscolare avverte un dolore acuto nella zona lesionata, tanto più intenso quanto maggiore è il numero di fibre coinvolte. Il dolore avvertito viene spesso rievocato dalla contrazione del muscolo interessato. Se il trauma è particolarmente grave il soggetto si trova nell'impossibilità di muovere la parte interessata ed il muscolo appare rigido e contratto. Una distrazione di II o di III grado si accompagna, nella maggior parte dei casi, adedema e gonfiore.
Il muscolo scheletrico è irrorato da una fitta rete di capillari che in caso di strappo vengono lesionati. Tale rottura causa uno stravaso ematico più o meno evidente a seconda dell'entità e della localizzazione della lesione. Se nei traumi più lievi il sangue rimane all'interno del muscolo, in quelli più gravi migra in superficie dove si accumula e forma evidenti ematomi.
Dopo circa 24 ore si può apprezzare un livido localizzato più in basso rispetto alla sede dello strappo a testimonianza dello stravaso ematico. Può inoltre insorgere una contrattura muscolare "di difesa" grazie alla quale l'organismo cerca di immobilizzare l'area interessata per favorire il recupero ed evitare che la situazione peggiori ulteriormente.

Cosa fare

La prima cosa da fare è sospendere immediatamente l'attività sportiva ed immobilizzare la zona colpita. Se nei casi più gravi tale sospensione è d'obbligo in quelli più lievi il soggetto, vista la sopportabilità del dolore, è naturalmente portato a stringere i denti e continuare. In questo modo però aumenta notevolmente il rischio di aggravare la situazione per cui si consiglia di fermarsi il prima possibile anche se il dolore avvertito è di lieve entità.
Dopo essersi fermati evitare di caricare l'arto e metterlo in una posizione di riposo (posizione rialzata).
Applicare immediatamente un impacco freddo (borsa del ghiaccio, spray ecc.) sulla zona interessata in modo da ridurre il flusso di sangue ai vasi lesionati (vasocostrizione). Allo stesso tempo evitare qualunque forma di calore (massaggi, pomate, fanghi ecc.).
Rivolgersi ad un medico specializzato e sottoporsi ad esami strumentali per valutare la reale entità del danno.
Le lesioni di primo grado si risolvono nel giro di 1-2 settimane, in cui l'atleta va mantenuto a riposo e trattato con antinfiammatori e miorilassanti. Qualche esercizio di stretching può aiutare ad accelerare e migliorare il recupero rielasticizzando, per quanto possibile, il tessuto di riparazione cicatriziale.
Le lesioni di secondo grado prevedono invece tempi di guarigione più lunghi (15-30 giorni). Prima della ripresa dell'attività sportiva il soggetto dovrà seguire un percorso di riabilitazione e sottoporsi ad opportuni interventi fisioterapici.
Nei casi più gravi (lesioni di III grado) può essere necessario l'intervento chirurgico.
Tra le terapie fisiche più efficaci segnaliamo la tecarterapia una metodica ancora poco diffusa che consentirebbe di dimezzare i tempi di recupero grazie al trasferimento di cariche elettriche endogene agli strati muscolari più profondi.


PREVENIRE E' MEGLIO CHE CURARE

Le fibre lesionate dallo strappo muscolare hanno scarsa capacità di rigenerazione. Se si esclude l'intervento, ancor non ben chiarito, delle cellule satellite il processo di riparazione avviene esclusivamente con la formazione di un tessuto cicatriziale meno elastico, meno contrattile e anche meno resistente di quello muscolare.
Si possono così formare delle aree con differente elasticità che aumentano sensibilmente il rischio di lesioni ricorrenti.
Diventa dunque di fondamentale importanza cercare di allontanare il più possibile il rischio di lesione.
La prevenzione degli strappi muscolari si caratterizza per l'osservanza di alcuni punti fondamentali:
eseguire sempre un riscaldamento generale e specifico della muscolatura
assicurarsi di essere nelle condizioni fisiche idonee per sopportare lo sforzo
valutare attentamente la praticabilità del terreno di gioco
scegliere abbigliamenti adatti, coprirsi per bene nei mesi invernali e, se necessario, utilizzate pomate specifiche durante la fase di riscaldamento
eseguire sempre esercizi di allungamento per migliorare l'elasticità e la flessibilità muscolare sia in fase preparatoria che defaticante