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Il dolore nella zona del coccige è chiamato coccigodinia. La coccigodinia può essere un sintomo (dolore e bruciore) che può variare tra le persone e che può variare con il tempo. Il dolore al coccige descrive un insieme di sintomi (dolore indotto o aggravato dalla posizione seduta), pertanto il sintomo è costituito da una serie di condizioni che possono avere eziopatologie diverse e che richiedono, trattamenti manuali diversi. La coccigodinia può essere conseguenza di traumi, nel 60 – 70 per cento è la caduta sulle natiche, l’instabilità del coccige o lussazione è la causa più frequente di coccigodinia, il coccige si può lussare o diventare ipermobile. In particolare quando il paziente è in posizione seduta, il coccige, tende a curvare più in alto del normale, oppure l’articolazione può sublussare, scivolando indietro. Lo slittamento del coccige trascina e lacera i tessuti circostanti, e causa dolore e infiammazione. A volte, il dolore coccigeo, può dipendere da squilibri della colonna vertebrale, come una patologia lombosacrale, da sforzi ripetuti (negli sportivi) o da interventi chirurgici, e può essere la conseguenza di un’infezione anorettale o di un tumore. In letteratura sono descritti dolori al coccige dovuti a cause psichiche, che rientrano nelle coccigodinie essenziali, più frequenti nella donna, infine, può avere una causa sconosciuta in circa un terzo dei casi. Nel caso di un disallineamento del coccige, è possibile che il sintomo sia causato da una “cattiva” posizione del coccige tra i muscoli del pavimento pelvico, cosi come una rigidità può comportare un danneggiamento dei tessuti circostanti, spesso la disfunzione del coccige in avanti è fonte di dolore. Il dolore è circa 5 volte più frequente nelle donne che negli uomini, forse perchè nella pelvi della donna il coccige è maggiormente esposto. Il paziente può riferire dolore intestinale e nei rapporti sessuali. In alcuni casi il dolore al coccige può essere causato da una sporgenza ossea (spigolo) sul coccige, solitamente la sporgenza è invisibile alle normali radiografie, spesso la diagnosi è costituita dalla RM (verticale) e dall’esame clinico. La sporgenza ossea è posta posteriormente sulla punta del coccige e può essere facilmente palpabile attraverso la pelle e in particolare nei soggetti magri.
Diagnosi La diagnosi di coccigodinia è costituita dall’esame clinico e radiologico, radiologicamente può essere presente una dislocazione dell’osso superiore al 25 per cento e flessione maggiore di venticinque gradi (angolo intercoccigeo), quest’alterazione è più evidente se la radiografia è effettuata in posizione seduta. La diagnosi nei soggetti giovani può giovare di un’ecografia anche per escludere altre cause, come una cisti ossea sacro-coccigea. Il pavimento pelvico Nel trattamento della coccigodinia è fondamentale l’esame rettale dei muscoli e del sistema fasciale che costituiscono il pavimento pelvico per localizzare un gruppo muscolare teso o punti trigger miofasciali. Ildiaframma pelvico è rappresentato da una lamina muscolare, incompleta nella porzione mediana, la quale chiude parzialmente in basso il piccolo bacino inserendosi in vicinanza dello stretto inferiore. Appare come una cupola rovesciata presentando una faccia superiore concava e una faccia inferiore convessa. E’ costituito dai muscoli ischio coccigei e dai muscoli elevatori dell’ano e dalle relative fasce. Il muscolo elevatore dell’ano, rappresenta la porzione principale del diaframma pelvico, esso ha una lunga origine laterale che si estende dalla superficie interna del pube, fino alla spina ischiatica. Il diaframma pelvico è rivestito nella sua faccia superiore dalla fascia superiore del diaframma pelvico, dipendente dalla fascia pelvica parietale ed ha rapporto con gli organi del piccolo bacino, i quali trovano in tale muscolo un valido sostegno. Anche nella faccia inferiore esso è rivestito da una fascia connettivale, la fascia inferiore del diaframma pelvico. Tra quest’ultima e la parete laterale della piccola pelvi, occupata dal muscolo otturatore interno, rimane bilateralmente uno spazio a sezione frontale di forma triangolare, detta fossa ischio rettale. In avanti, questo spazio si spinge tra l’elevatore dell’ano e il trigono urogenitale, formando un recesso anteriore o pubico che si riduce progressivamente, sino a terminare in zona pubica. Posteriormente, la fossa ischio rettale continua nello spazio compreso tra l’elevatore dell’ano e il muscolo grande gluteo. Nella parete laterale della fossa ischio rettale, decorrono il nervo e i vasi sanguigni. L’innervazione è garantita dal plesso pudendo, il diaframma, contraendosi, solleva il pavimento pelvico e agisce come costrittore del retto. Il diaframma pelvico forma una sorta di amaca che dà sostegno ai visceri del piccolo bacino, consente il passaggio dell’uretra, della vagina e del canale anale. Esiste una relazione funzionale tra il diaframma pelvico e il diaframma urogenitale attraverso le diverse strutture miofasciali situate nella cavità pelvica inferiore. Trattamento Il trattamento manuale di questa zona pelvica consiste nel trovare dei trigger points delle strutture miofasciali e in particolare del muscolo elevatore dell’ano o dei muscoli coccigei. Il trattamento dei punti trigger include un rilasciamento mio fasciale, un’inibizione e siderazione muscolare attraverso un trattamento manuale. La Sindrome del grande gluteo è dovuta a uno spasmo o a una tensione di questo muscolo che può tirare sul coccige e causare dolore, il dolore può avvenire durante i passaggi posturali dalla posizione seduta alla posizione eretta. La diagnosi avviene attraverso un esame clinico e manuale che permetterà di localizzare lo spasmo muscolare e l’ipomobilità dell’articolazione lombosacrale dallo stesso lato del dolore. Il trattamento manuale è mirato al recupero della mobilità articolare del segmento vertebrale lombare e dell’articolazione sacroiliaca, e da un trattamento posturale globale. LaSindrome del piriforme può causare dolore lombosacrale, irradiazione in zona inguinale, nel perineo, nelle natiche e nell’anca. La diagnosi della Sindrome del piriforme avviene attraverso un esame palpatorio dell’aponeurosi del muscolo piramidale e con test muscolari e di allungamento. Il trattamento manuale prevede un lavoro d’inibizione muscolare con dei pompages. La lussazione del coccige, oltre a creare una sintomatologia in zona lombosacrale e del piccolo bacino, può condizionare negativamente il funzionamento del sistema cranio sacrale e può essere la causa di una serie di sintomi e disfunzioni del sistema nervoso autonomo. La lussazione traumatica del coccige può rappresentare una causa di squilibri neurovegetativi della zona pelvica, visti gli importanti rapporti con gli organi viscerali circostanti (retto, prostata, vescica, Fondo di Douglas nella donna), alterare l’equilibrio fisiologico del canale durale che può trasmettersi su altre strutture della dura madre e interessare addirittura le membrane intracraniche. La tensione della dura può raggiungere la membrana cerebellare e generare una cefalea di tipo occipitale, esiste una relazione di causa ed effetto tra la disfunzione somatica del coccige e il sintomo cefalgico. Iltrattamento manuale e osteopatico della coccigodinia deve considerare il sintomo algico in un ambito globale e mai analitico, cosi come può prevedere, da caso a caso, una tecnica osteopatica anorettale diretta, che spesso produce ottimi risultati con un meccanismo di azione legato all’interruzione di un arco doloroso riflesso a livello locale. La manovra, se è il caso, può essere ripetuta altre due o tre volte a distanza di qualche giorno. L’efficacia della manipolazione diretta del coccige è dovuta a un rilasciamento della contrattura dei muscoli elevatori, che sono considerati un elemento importante della coccigodinia. Inoltre questa manipolazione del coccige agisce secondariamente sull’articolazione sacroiliaca, che gioca un ruolo fondamentale in questa patologia. |
sabato 26 maggio 2012
venerdì 25 maggio 2012
RIABILITAZIONE DEL GINOCCHIO DOPO RICOSTRUZIONE DEL LEGAMENTO
CROCIATO ANTERIORE (LCA)
PROTOCOLLI DI RIABILITAZIONE POST-CHIRURGICA DOPO RICOSTRUZIONE
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martedì 15 maggio 2012
Cura delle patologie della spalla |
La spalla , le sue patologie e la fisioterapia
La spalla è una delle articolazioni periferiche più comunemente trattate nella fisioterapia.
In particolare il complesso articolare “scapolo – omerale” ha numerose ed importanti variabili legate alla funzionalità, alla stabilità ed all’attività motoria che costituiscono un equilibrio molto sottile e facilmente modificabile.
Per farsi un’idea, la spalla in un individuo normale può muoversi in più di 16.000 posizioni ad un grado di differenza l’una dall’altra.
L’infortunio più comune della spalla che si presenta alla nostra osservazione e che può essere curato in fisioterapia con un trattamento conservativo, ossia orientato ad evitare l’intervento chirurgico, è quello della lesione della cuffia dei rotatori per lacerazione e/o usura dei tendini omerali deputati ai movimenti rotatori dell’omero sulla scapola.
A questa patologia, molto frequente, si associa anche la tendinite del bicipite omerale che concorre anch’esso alla stabilità ed ai movimenti sopra descritti.
Il paziente in fisioterapia chiede spesso il motivo per cui si infiammano e si usurano questi tendini. Nella maggior parte dei casi si arriva a questa patologia a causa di microtraumi ripetuti, ossia stress di movimenti di percussione, vibrazione, schiacciamento, allungamento, etc che creano ai tessuti dei tendini un abuso cronico che non permette al processo di guarigione naturale di svolgere correttamente il suo compito.
Si avvia così il processo di degenerazione ed infiammazione successiva dei tendini che ricoprono la testa dell’omero, grazie anche al loro intrappolamento nello “spazio sub-acromiale” ossia quel piccolo tunnel dove scorrono i tendini rotatori della spalla.
Il paziente affetto dalla tendinite della spalla , detta in termine tecnico “sindrome da impingment sub-acromiale” riferisce un gran dolore ad ogni movimento al di sopra della testa (apertura, elevazione, estensione, rotazioni, etc.), non riesce a portare pesi, si sveglia nel cuore della notte e non si addormenta più, dice di sentire bruciori e “pizzicate” fastidiose.
Anche la forza è notevolmente ridotta e carente e si può arrivare anche alla completa impotenza funzionale cioè all’assoluta incapacità a svolgere i movimenti più semplici della vita quotidiana come ad esempio guidare la macchina, fare faccende di casa, svolgere attività lavorative anche semplici.
La “sindrome da impingment sub-acromiale” o sindrome da conflitto traumatico dei tendini della spalla, causa forte dolore soprattutto a causa dello schiacciamento e/o sfibramento del tendine del sovraspinoso, un’unità muscolo-tendinea assai importante per eseguire correttamente i movimenti di apertura, elevazione e rotazione esterna della spalla.
Il processo degenerativo ed infiammatorio instaurato inevitabilmente costringe il paziente ad assumere farmaci antinfiammatori (fans) ed antidolorifici ed in seguito a rivolgersi ad un medico ortopedico specializzato.
Si giunge così al trattamento conservativo in fisioterapia che tende a ripristinare i normali valori funzionali dell’articolazione della spalla infortunata. Il fisioterapista tra i suoi numerosi rimedi e strumenti a disposizione si avvale di terapia fisica ad alta intensità quale il laser ad alta potenza (yag) oppure al trattamento energetico capacitivo e resistivo (tecarterapia) fino alle cure più tradizionali quali la ionoforesi e gli ultrasuoni.
Importante e risolutivo a volte è il trattamento con l’ipertermia, energia erogata e mirata sui tessuti molli interessati che porta la temperatura locale ad innalzarsi e ad accelerare così il circolo sanguigno con l’attivazione dei conseguenti processi antinfiammatori che riparano e guariscono.
Tutto ciò però non è sufficiente al totale ripristino fisico della patologia tendinea infatti la fase successiva è fondamentale e deve essere seguita attentamente e con costanza, si tratta della chinesiterapia guidata e assistita effettuata in fisioterapia con l’ausilio di elastici, pesi a bassa consistenza, attrezzi quali bastoni, maniglie etc.
Questa pratica fisioterapica aiuta i gruppi muscolari, soprattutto gli stabilizzatori della spalla, a “rinforzarsi” dalla debolezza presente ed anche a ritrovare la loro elasticità e potenza.
Questi esercizi all’apparenza semplici e banali, se eseguiti nella velocità, nella quantità o nell’intensità sbagliate possono non solo non donare il loro effetto benefico e terapeutico ma anche aumentare notevolmente dolore e infiammazione già presenti.
In fisioterapia, questi semplici esercizi ripetuti e dosati in poco tempo ridonano all’articolazione efficienza, scioltezza e destrezza per tutti i movimenti complessi da svolgere nella propria vita e nello sport.
Una volta tornati in salute ed in forma per l’armonia ed il benessere del proprio corpo, è saggio che il soggetto interessato si faccia lasciare dal proprio fisioterapista una scheda personale di allenamento da fare periodicamente e di grande importanza per la prevenzione contro nuovi problemi.
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venerdì 11 maggio 2012
Cura della spina calcaneare |
Questa formazione ossea ha la punta rivolta verso le dita, e si trova generalmente nella parte infero-mediale del calcagno, il dolore che si avverte è di tipo puntiforme.
È causata dall'infiammazione dell'inserzione della fascia plantare sul tallone con conseguente deposito di sali di calcio.
A lungo termine questo accumulo di sali di ossidato di calcio a livello del tallone porta alla formazione della Spina calcaneare.
Durante la giornata i pazienti soffrono di più al mattino scendendo dal letto, dopo essere stati seduti per molto tempo oppure la sera dopo aver camminato molto o essere stati molto in piedi. Il dolore viene avvertito come una fitta molto intensa che obbliga a zoppicare, ma in circa mezz'ora sparisce, per ripresentarsi alla fine giornata.
Va sottolineato che alcuni soggetti hanno la spina calcaneare, ma sono asintomatici cioè non avvertono dolore, si stima una percentuale intorno al 30%. Come terapia primaria è consigliabile il riposo. Per eliminare il dolore inoltre è consigliabile effettuare un ciclo di terapia fisica o di Ultrasuoni oltre ad esercizi di stretching.
Quella delle onde d'urto è una metodica non invasiva, estremamente efficace per il trattamento di molte patologie tra cui quello della spina calcaneare che non rompono lo sperone, ma causano neoangiogenesi (formazione di nuovi vasi sanguigni all'interno di un tessuto) e microemorragie che migliorano molto o risolvono del tutto la situazione.
La terapia con onde d'urto può risolvere l'infiammazione e quindi la sintomatologia dolorosa. Eventuali vizi di appoggio del piede che possono essere causa dell'infiammazione vanno corretti con plantari.
L'intervento chirurgico di asportazione della spina calcaneare è l'ultima soluzione sia per i rischi che per le scarse possibilità di guarigione. La soluzione chirurgica infatti, di questi casi, spesso non da risultati soddisfacenti al contrario della terapia fisica che migliorano di molto la sintomatologia.
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giovedì 10 maggio 2012
Cura dell'ernia del disco |
L'Ernia del disco
Tra una vertebra e l’altra della colonna vi è il cosiddetto disco intervertebrale, una sorta di ammortizzatore.
Questo cuscinetto è costituito da una parte esterna, a forma di anello fibroso, detta “anulus” e da una parte interna, di consistenza molle, costituita per il 90% di acqua, detta “nucleo polposo” che ha la funzione di distribuire a tutto il disco le forze che lo sollecitano.
L’ernia del disco è la fuoriuscita del nucleo polposo dall’anello che si può lacerare, solitamente a livello degli ultimi tre anelli lombari. Per ernia del disco s’intende quindi la migrazione del nucleo polposo attraverso le fibre dell’anulus.
La migrazione del nucleo polposo comporta sia una compressione meccanica delle strutture nervose sia una reazione infiammatoria.
L’ernia discale può verificarsi in qualunque tratto della colonna vertebrale, ma la sua frequenza è nettamente prevalente nel tratto lombare, seguita dal tratto cervicale, mentre è rara l’ernia dorsale. L’ernia lombare è la più comune è ed quella a cui faremo riferimento.
Ernia del disco e protrusione, differenze? Tra protrusione ed ernia discale c’è una leggera differenza. Entrambe sono classificate come un'alterazione del disco intervertebrale, in cui il disco perde la sua consistenza originaria e le sue capacità di ammortizzare i carichi delle vertebre.
Nella protrusione però il disco si deforma, il nucleo polposo protrude, cioè deborda e invade lo spazio circostante ma le fibre dell’anulus, l’anello fibroso che circonda il nucleo polposo, rimangono integre. Nell’ernia, invece, c’è una rottura di queste fibre, che può essere quasi completa e si parla di ernia contenuta, o completa e si parla di ernia espulsa. Nell’ernia la rottura di queste fibre fa sì che il nucleo polposo entri nel canale midollare. Una protrusione importante può essere definita come l'anticamera dell'ernia del disco.
Perché si forma l’ernia del disco?
I motivi principali dell’erniazione sono o microtraumi ripetuti, dovuti a lavori fisicamente impegnativi compiuti male ma anche a posizioni sbagliate in un fisico predisposto, o ad uno sforzo eccessivo, per esempio durante l’attività lavorativa o nello sport. In questi casi si parla di ernia traumatica, più frequente nelle persone giovani.
Un’altra causa è quella degenerativa, legata cioè all’età: si tratta dell’artrosi lombare, che colpisce le persone dopo i 50-55 anni. Non esiste però un’età considerata a rischio.
Quali sono i fattori di rischio di ernia del disco lombare?
Sono considerati fattori di rischio le occupazioni sedentarie e l'inattività fisica, il sovrappeso, l'alta statura, la guida di veicoli a motore prolungata e costante, le vibrazioni, i lavori a elevato impegno fisico, soprattutto se comportano abitualmente il sollevamento manuale di carichi, e le gravidanze.
Come si fa la diagnosi dell’ernia discale lombare? Quali sono i sintomi?
La diagnosi dell’ernia è sia strumentale sia clinica, cioè tramite l’esame obiettivo e test clinici di coinvolgimento radicolare.
Considerando l'alta frequenza di ernie del disco asintomatiche e la possibile regressione di ernie sintomatiche, è raccomandabile attendere almeno 4-6 settimane dall'insorgenza dei sintomi, i principali dei quali sono dolore lombare, radicolopatia e limitazione funzionale, prima di effettuare gli esami di diagnostica per immagini.
La sintomatologia dell'ernia del disco lombare inizia in genere con il cosiddetto "colpo della strega", con dolore (lombalgia acuta) accompagnato da sciatalgia, compressione del nervo sciatico da parte dell’ernia e irradiazione del dolore alla gamba.
Nella maggior parte dei casi si ha la guarigione spontanea. Nei casi di deficit neurologici, con perdita di forza o di sensibilità, diminuzione del trofismo e difficoltà a stare fermi a lungo in piedi si ricorre poi all'intervento chirurgico (discectomia).
Nei casi in cui i sintomi non regrediscono, e prima dell’intervento chirurgico è opportuno fare una Tac e una Risonanza Magnetica.
Qual è il trattamento nei casi di diagnosi di ernia? Conservativo o Chirurgico?
L’intervento chirurgico di rimozione dell’ernia è riservato a quei malati nei quali il dolore e l’invalidita’ che compromettono le nomali attivita’ della vita quotidiana persistono per due o più mesi dall'inizio dei sintomi.
La sintomatologia associata all’ernia, infatti, regredisce di frequente con i trattamenti conservativi.
Il primo approccio è il trattamento è farmacologico. In questa prima fase il medico può prescrivere antinfiammatori e/o antidolorifici.
Se lo specialista lo ritiene opportuno, può anche prescrivere cortisonici per via iniettiva intramuscolare che agiscono rapidamente, calmando sia il dolore che l’infiammazione.
E’ opportuno anche un moderato riposo ma si è visto in questi ultimi anni che si deve evitare di mettersi completamente a letto: si devono alternare momenti di riposo al movimento, evitando le posizioni che fanno aumentare il dolore e che caricano la schiena. In particolare spesso la posizione che fa più male è quella seduta.
Poi si possono trovare validi aiuti nelle mani di un fisioterapista esperto. Alla terapia farmacologica fa seguito quindi un trattamento fisioterapico e/o osteopatico.
In cosa consiste il trattamento non chirurgico? Quali tecniche di rieducazione adottare?
E’ possibile utilizzare delle tecniche di terapia manuale per mobilizzare la colonna favorendo un maggior spazio per il transito della radice nervosa.
Una delle tecniche più usate per il trattamento del dolore che si irradia lungo gli arti è costituita dalla rieducazione posturale che consiste in una serie di esercizi abbastanza semplici messi a punto da una terapista di origine francese (F. Mézierès ) e dai suoi allievi (Souchard ), metodiche che cercano di ridurre la pressione del disco sul nervo spingendo la parte di disco che comprime nella sua posizione normale, oppure allungando le catene muscolari che imprigionano e fissano la sintomatologia.
Per ridurre la pressione sulla radice del nervo si possono effettuare manipolazioni della colonna e trazioni manuali con un osteopata, seguire un programma di esercizi per rinforzare i muscoli addominali e para-vertebrali, così da dare maggiore solidità alla colonna e ridurre le sollecitazioni meccaniche sulla radice, fare un ciclo di massoterapia,e’ indicato il riposo a letto alternato dalla ripresa dell'attività fisica con delle passeggiate quotidiane ed eseguire dei semplici esercizi di scarico e relax come ad esempio : rimanere in una posizione sdraiata a pancia in su’ con le anche e le ginocchia piegate spesso aiuta, perche’ rilassa la colonna lombare.
Vi è forte prova che un programma intensivo di esercizi, effettuato come trattamento conservativo per il trattamento dell'ernia del disco lombare, iniziato ed eseguito per circa 6-8 settimane , faciliti il recupero funzionale e il rientro al lavoro, senza incrementare il rischio di intervento chirurgico.
Nel caso invece di un primo intervento chirurgico è infine fondamentale sapere che il rischio di recidiva è molto alto per i due anni successivi, specie per i soggetti giovani. La convalescenza dura due anni circa: in questo periodo è fondamentale fare la prevenzione.
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martedì 8 maggio 2012
TRATTAMENTO MIOFASCIALE
- I processi dinamici attraverso i quali la mente e il corpo interagiscono, influenzandosi vicendevolmente, sono tuttora ampiamente discussi e affrontati all'interno di diverse filosofie e discipline come l'integrazione bio-energetica, il Rolfing e l'osteopatia. L'accreditamento nel mondo medico scientifico della visione unitaria del disturbo, visto come disallineamento dell'omeostasi nella rete di relazioni che i diversi sistemi organici e apparati svolgono costantemente tra loro, ha posto in risalto la funzione di interconnessione del sistema fasciale e di potenziale facilitazione degli adattamenti meccanici, nervosi e psicofisiologici della terapia miofasciale.
La pervasività del tessuto fasciale e la sua globalità funzionale, in un sistema socio-sanitario orientato verso la specializzazione settoriale nei diversi sistemi organici, sono sempre state trascurate, relegando il tessuto connettivale fibroso a mera struttura di contenimento viscerale e muscolo-scheletrico. La terapia miofasciale racchiude in sé una grande varietà di tecniche correntemente utilizzate, che spaziano dalla manipolazione dei tessuti molli all'allungamento muscolare prolungato. La caratteristica di ogni trattamento miofasciale è il tentativo di rendere partecipe il soggetto, tramite la verbalizzazione, alle sensazioni palpatorie percepite dall'operatore, per determinare la direzione, la forza e la durata dell'allungamento e per facilitare il massimo rilassamento dei tessuti tesi o retratti.
IL TRATTAMENTO MIOFASCIALE
È una tecnica di allungamento muscolare che prevede la partecipazione attiva da parte del paziente nel determinare la direzione, la durata e l'intensità dell'applicazione manuale del terapista.L'approccio miofasciale non si effettua sul paziente, ma insieme al paziente, stimolando in ultima analisi l'apprendimento di tecniche di autocorrezione. Le sedute di trattamento non devono seguire un rigido protocollo terapeutico pianificato unilateralmente dal terapista, ma si devono aggiustare in funzione alle risposte trasmesse dal corpo del paziente e dalle sensazioni verbalizzate dallo stesso. Si deve istruire il paziente a sentire e focalizzare razionalmente le sensazioni del suo corpo per dirigere la mano del terapista e assecondarne i movimenti. Quando paziente e terapista raggiungono un buon livello di conoscenza, fiducia e affiatamento, è difficile capire chi dirige e chi esegue le manovre correttive all'interno di una sessione di trattamento. La terapia miofasciale non è finalizzata a ridisegnare l'allineamento del corpo seguendo un modello predeterminato di equilibrio: la priorità è comprendere se le posture e gli aggiustamenti assunti dal corpo sono i più economici e appropriati per una buona mobilità articolare, o non siano il frutto di dolori o restrizioni che ne limitano i movimenti. L'allungamento si applica a quei tessuti la cui tensione è eccessiva e protratta nel tempo, requisiti questi sufficienti per instaurare addensamento fibroso, retrazioni e conseguente perdita di fluidità nei movimenti. Le tecniche di allungamento sportivo comunemente usate, come lo stretching attivo, sono efficaci nell'incrementare l'allungamento globale degli elementi contrattili del muscolo, ma il rivestimento fasciale può non essere coinvolto dalle sollecitazioni applicate, specialmente se le posture vengono mantenute poco, se si effettuano piccoli rimbalzi o se la respirazione non è specifica. Come un elastico vecchio, la fascia si distenderà solo nei punti dove già possiede una buona capacità deformabile, ma le singole unità miofasciali retratte e congestionate rimarranno tali.
È una tecnica di allungamento muscolare che prevede la partecipazione attiva da parte del paziente nel determinare la direzione, la durata e l'intensità dell'applicazione manuale del terapista.L'approccio miofasciale non si effettua sul paziente, ma insieme al paziente, stimolando in ultima analisi l'apprendimento di tecniche di autocorrezione. Le sedute di trattamento non devono seguire un rigido protocollo terapeutico pianificato unilateralmente dal terapista, ma si devono aggiustare in funzione alle risposte trasmesse dal corpo del paziente e dalle sensazioni verbalizzate dallo stesso. Si deve istruire il paziente a sentire e focalizzare razionalmente le sensazioni del suo corpo per dirigere la mano del terapista e assecondarne i movimenti. Quando paziente e terapista raggiungono un buon livello di conoscenza, fiducia e affiatamento, è difficile capire chi dirige e chi esegue le manovre correttive all'interno di una sessione di trattamento. La terapia miofasciale non è finalizzata a ridisegnare l'allineamento del corpo seguendo un modello predeterminato di equilibrio: la priorità è comprendere se le posture e gli aggiustamenti assunti dal corpo sono i più economici e appropriati per una buona mobilità articolare, o non siano il frutto di dolori o restrizioni che ne limitano i movimenti. L'allungamento si applica a quei tessuti la cui tensione è eccessiva e protratta nel tempo, requisiti questi sufficienti per instaurare addensamento fibroso, retrazioni e conseguente perdita di fluidità nei movimenti. Le tecniche di allungamento sportivo comunemente usate, come lo stretching attivo, sono efficaci nell'incrementare l'allungamento globale degli elementi contrattili del muscolo, ma il rivestimento fasciale può non essere coinvolto dalle sollecitazioni applicate, specialmente se le posture vengono mantenute poco, se si effettuano piccoli rimbalzi o se la respirazione non è specifica. Come un elastico vecchio, la fascia si distenderà solo nei punti dove già possiede una buona capacità deformabile, ma le singole unità miofasciali retratte e congestionate rimarranno tali.
UN PROCESSO DI CAMBIAMENTO CONSAPEVOLE
Il processo attraverso il quale il corpo assume un allineamento posturale meglio integrato in rapporto alla gravità, richiede una presa di coscienza da parte del paziente del proprio schema corporeo: la verbalizzazione e il feedback tra paziente e terapista sono ingredienti indispensabili per raggiungere una buona rappresentazione cosciente. Questo lavoro di discriminazione percettiva apre un ventaglio di possibilità per nuove strutturazioni posturali, suscettibili di accomodamenti multipli. È innegabile che il trattamento miofasciale nelle sedute iniziali mette in disordine l'omeostasi del paziente, in quanto trasmette al sistema nervoso centrale, attraverso i corpuscoli del Golgi e i fusi neuromuscolari, informazioni cinestesiche che possono risultare poco familiari. Il lavoro svolto sulle fasce è anche un lavoro di rieducazione neuromuscolare che ha come obiettivo l'accettazione e il mantenimento di una postura più efficiente. La legge di facilitazione neuromuscolare afferma chequando un'informazione nervosa passa attraverso un set di neuroni, escludendone altri, in seguito tenderà a percorrere la stessa via: la ripetitività, nelle sedute successive, degli stimoli indotti dal terapista ha la funzione, in accordo con tale enunciato, di rinforzare la percezione e la risposta del paziente. Le teorie sull'apprendimento motorio svelano che il modo più veloce ed efficace per affinare un gesto è di prenderne coscienza con uno sforzo introspettivo: lo scambio continuo di informazioni tra paziente e terapista sulle sensazioni percepite durante il trattamento ha questa finalità.
Il processo attraverso il quale il corpo assume un allineamento posturale meglio integrato in rapporto alla gravità, richiede una presa di coscienza da parte del paziente del proprio schema corporeo: la verbalizzazione e il feedback tra paziente e terapista sono ingredienti indispensabili per raggiungere una buona rappresentazione cosciente. Questo lavoro di discriminazione percettiva apre un ventaglio di possibilità per nuove strutturazioni posturali, suscettibili di accomodamenti multipli. È innegabile che il trattamento miofasciale nelle sedute iniziali mette in disordine l'omeostasi del paziente, in quanto trasmette al sistema nervoso centrale, attraverso i corpuscoli del Golgi e i fusi neuromuscolari, informazioni cinestesiche che possono risultare poco familiari. Il lavoro svolto sulle fasce è anche un lavoro di rieducazione neuromuscolare che ha come obiettivo l'accettazione e il mantenimento di una postura più efficiente. La legge di facilitazione neuromuscolare afferma chequando un'informazione nervosa passa attraverso un set di neuroni, escludendone altri, in seguito tenderà a percorrere la stessa via: la ripetitività, nelle sedute successive, degli stimoli indotti dal terapista ha la funzione, in accordo con tale enunciato, di rinforzare la percezione e la risposta del paziente. Le teorie sull'apprendimento motorio svelano che il modo più veloce ed efficace per affinare un gesto è di prenderne coscienza con uno sforzo introspettivo: lo scambio continuo di informazioni tra paziente e terapista sulle sensazioni percepite durante il trattamento ha questa finalità.
INTEGRAZIONE BIO-ENERGETICA, ROLFING E OSTEOPATIA
L'integrazione bio-energetica è una forma di psicoterapia che si occupa della salute e dell'infermità emotiva dal punto di vista dell'unità psicosomatica. La luminosità del viso, lo sguardo, il tono della voce esprimono i sentimenti di una persona e la caratterizzano, così come la posizione delle spalle e della testa o una certa lentezza o fluidità di movimenti permettono il riconoscimento di una persona anche a distanza. I traumi fisici, così come quelli di natura emotiva, tendono a irrigidire i tessuti muscolari e quando ciò avviene il corpo tende ad abbandonare lo stato di allineamento e di vitalità, per passare a una condizione di inflessibilità complessiva e di squilibrio strutturale. Ida Rolf, biochimica e fisiologa americana, ha ideato un sistema di manipolazioni muscolari e di massaggi profondi al fine di liberare le tensioni dei muscoli e l'addensamento del tessuto fasciale: il Rolfing o "integrazione strutturale" cerca di accrescere la salute e la vitalità, di alleviare lo stress e la tensione. Poiché il lavoro di massaggio è profondo, spesso il paziente prova durante il processo un notevole senso di liberazione emotiva, come se ogni parte del corpo immagazzinasse uno stato d'animo ben preciso. L'osteopatia tenta di svelare le correlazioni tra i diversi sistemi, neurologico, biomeccanico, vascolare, immunitario, emozionale e psichico, all'interno di un unico sistema che è la persona che riconosciamo come individuo. Il metodo osteopatico si avvale di tecniche di approccio manuale per il ripristino omeostatico tra i diversi sistemi.
L'integrazione bio-energetica è una forma di psicoterapia che si occupa della salute e dell'infermità emotiva dal punto di vista dell'unità psicosomatica. La luminosità del viso, lo sguardo, il tono della voce esprimono i sentimenti di una persona e la caratterizzano, così come la posizione delle spalle e della testa o una certa lentezza o fluidità di movimenti permettono il riconoscimento di una persona anche a distanza. I traumi fisici, così come quelli di natura emotiva, tendono a irrigidire i tessuti muscolari e quando ciò avviene il corpo tende ad abbandonare lo stato di allineamento e di vitalità, per passare a una condizione di inflessibilità complessiva e di squilibrio strutturale. Ida Rolf, biochimica e fisiologa americana, ha ideato un sistema di manipolazioni muscolari e di massaggi profondi al fine di liberare le tensioni dei muscoli e l'addensamento del tessuto fasciale: il Rolfing o "integrazione strutturale" cerca di accrescere la salute e la vitalità, di alleviare lo stress e la tensione. Poiché il lavoro di massaggio è profondo, spesso il paziente prova durante il processo un notevole senso di liberazione emotiva, come se ogni parte del corpo immagazzinasse uno stato d'animo ben preciso. L'osteopatia tenta di svelare le correlazioni tra i diversi sistemi, neurologico, biomeccanico, vascolare, immunitario, emozionale e psichico, all'interno di un unico sistema che è la persona che riconosciamo come individuo. Il metodo osteopatico si avvale di tecniche di approccio manuale per il ripristino omeostatico tra i diversi sistemi.
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Sindrome del tunnel carpale.
Dai sintomi come formicoli, perdita di forza fino alle cause della compressione del nervo mediano. Diagnosi e cura, rimedi e le terapie non invasive.
Tutto comincia con dei fastidiosi formicolii notturni a una o a tutte e due le mani, che disturbano il sonno procurando numerosi risvegli: basta muovere un pò le mani e subito i formicolii scompaiono e si può riprendere a dormire. Poi compare dolore irradiato al gomito e quando, dopo qualche mese, i formicolii sono costanti e, prendendo un piatto (magari quello del servizio buono) messo sul piano alto della credenza: paf!!!! ci scappa dalle dita e si rompe perchè le dita non sono riuscite a trattenerlo, allora si corre dal medico che sentenzia:” Eh, si, è proprio un bella Sindrome del Tunnel Carpale!”.
Che cos’è la Sindrome del Tunnel Carpale
Il Tunnel Carpale è una struttura ossea che si trova sulla faccia palmare della mano, al confine col polso. Qui troviamo otto ossicine disposte su due file di quattro, che vanno a formare leOssa del Carpo su cui è stesa una struttura fibrosa che prende il nome di Legamento Trasverso del Carpo, che forma una sorta di tetto sulle ossa del carpo. Tra le ossa ed il legamento passa ilNervo Mediano, che, originato dal Midollo Spinale che si trova nella colonna cervicale, si è portato fino alla mano percorrendo tutto l’arto superiore, per innervare i muscoli e dare sensibilità alla prime tre – quattro dita della mano.
Quando il Tunnel formato dal legamento e dalle ossa del carpo si “restringe” il nervo mediano ne soffre,non è più nutrito adeguatamente e si infiamma dando quei fenomeni che abbiamo descritto: Formicolii (parestesie in termine medico), dolori all’avambraccio, perdita di forza dei muscoli che stanno alla base del pollice (Eminenza Thenare) e che consentono di opporre il pollice alle altre dita: movimento che ci distingue dai nostri cugini primati, le scimmie, che non possiedono questa capacita; ed ecco che allora non riusciamo a tenere gi oggetti tra le dita perchè ci sfuggono, e diventa difficile anche tenere la penna fra le dita per scrivere; figuriamoci poi se dobbiamo fare dei lavori di precisione....
Sindrome del Tunnel Carpale: Sintomi e Cause
I formicolii alle dita delle mani, dapprima notturni e saltuari poi continui, tutti i giorni mattino e sera; le mani e le dita a volte possono gonfiarsi e può comparire dolore che si irradia verso il gomito; infine si ha il deficit di forza delle dita quando devono afferrare un oggetto. Il Nervo Mediano si infiamma quando lo spazio del Tunnel Carpale si restringe, perciò sono in gioco movimenti ripetuti di flesso estensione del polso, traumi che modificano l’ anatomia del polso, situazioni come gravidanza, menopausa o l’uso di contraccettivi che fanno ispessire il legamento.
Per questo motivo spesso la Sindrome del Tunnel Carpale (STC) colpisce soggetti che lavorano nella industria manifatturiera: tessile, meccanica, alimentare, calzaturiero, pelletterie etc: oppure persone che lavorano con attrezzi vibranti (martelli pneumatici). Ma anche l’impiegato\a che usa il mouse tutto il giorno, se lo usa scorrettamente è a rischio per la STC Alcune patologie come l’Artrite Reumatoide o l’ipertiroidismo, artriti o artrosi deformanti, fratture del polso possono essere correlate con la STC.
Le donne sono statisticamente più colpite degli uomini e questo sembrerebbe favorito dalla presenza degli ormoni estrogeni che facilitano le condizioni di edema.
I disturbi hanno una manifestazione notturne perchè durante il sonno il polso assume più facilmente posizioni che comprimono il nervo già sofferente, e perchè è più facile l’accumulo di liquido infiammatorio (edema)
Sindrome del tunnel carpale :Diagnosi
Il racconto (Anamnesi) che fa la persona sofferente, per le caratteristiche con cui si manifesta il disturbo, la presenza di alcuni segni caratteristici alla visita (Segno di Tinel, Segno di Phalen) orientano già verso l’ipotesi di STC. Sono utili la Radiografica del Polso per Tunnel Carpale e l’Ecografia del Polso: la prima mette in evidenza eventuali disturbi ossei e la seconda evidenzia lo stato del Legamento Trasverso del Carpo e la presenza di edema nel Tunnel.
L’indagine Elettromiografica Elettroneurografia (EMG/ENG), che consiste nell’utilizzare dei piccoli aghi che, infissi sulla pelle, registrano l’attività del nervo e del muscolo, ci consentono d avere, con una certa sicurezza la diagnosi di STC e danno un idea della sua gravità. Tuttavia se i disturbi sono nella fase iniziale, spesso anche questa indagine può non essere significativa e allora va ripetuta dopo uno o due mesi dalla prima.
È importante accertarsi che non esistano concomitanti disturbi infiammatori a carico del Rachide Cervicale e del gomito perché potrebbero simulare o aggravare il quadro di STC.
Sindrome del Tunnel Carpale :Terapia chirurgica
L’Intervento Chirurgico NON È la soluzione di PRIMA SCELTA.
Innanzi tutto è utile, laddove possibile, ridurre tutte quelle condizioni ambientali che hanno determinato la comparsa della STC (movimenti ripetuti, posizioni viziate etc)
Sindrome del Tunnel Carpale :Terapia Farmacologica
L’utilizzo del Cortisone in infiltrazione riduce solo momentaneamnte il disturbo ma puà determinare una sofferenza del tendine che, nel tempo, fa peggiorare la STC.
Sindrome del Tunnel Carpale : Medicina Alternativa
Nella Medicina Alternativa si possono utilizzare i fitoterapici come l’Harpagophytum P. (Artiglio del Diavolo),Spiraea U., Salix A. Erigeron C. in Tintura Madre (TM), da sole od in associazione. Anche per queste sostanze va adottata cautela nelle donne in stato di gravidanza, e se si assumono contemporaneamente anticoagulanti o cortisonici (sopratutto per l’Artiglio del Diavolo, mentre per gli altri i rischi sono solo legati al dosaggio) ed è meglio assumerli sotto controllo di un esperto.
Sindrome del Tunnel Carpale : Omeopatia e Omotossicologia
L’Omeopatia e la Omotossicologia possono aiutarci con la Ruta Graveolens 7 CH; Colocynthis H (va bene per le parestsie), Aesculus C., Bryaconheel, sempre sotto controllo del terapeuta.
Anche l’Oligolitoterapia dà ottimi risultati con l’assunzione di Magnesio o Manganese
L’uso di sostanze Neurotrofiche, cioè che nutrono il nervo, trova la sua ragione nel fatto che il Nervo Mediano infiammato è scarsamente nutrito e perde facilmente quella sua guaina protettiva detta guaina Mielinica formata dalipidi. Le vitamine del complesso B intervengono nel metabolismo e nel corretto utilizzo dei lipidi da parte dell’organismo, ripristinando la guaina mielinica; l’Acido alfa lipoico, è un naturale contenuto nei broccoli, spinaci,carni rosse e visceri (organo e cuore), consente la rigenerazione del glutatione dell’acido ascorbico (vit. C) altri antiossidanti; gli antiossidanti ci aiutano a ridurre i danni che si creano durante un processo infiammatorio. Analogo effetto ha la Bromelaina, un gruppo di enzimi estratti dall’ananas con funzione antiinfiammatoria; altre sostanze utili sono gli omega tre e omega sei, il magnesio ed il selenio.
Sindrome del Tunnel Carpale : Terapia Fisica
La Terapia Fisica si avvale di strumenti quali gli ultrasuoni, la jonoforesi, il laser, la magnetoterapia, le onde d’urto. Una loro sapiente combinazione è in grado di ripristinare la corretta funzionalità degli organi contenuti nel tunnel carpale, riducendo o facendo scomparire i sintomi. Alcuni consigliano l’uso di un tutore rigido in materie plastiche di vario genere: la rigidità forzata della articolazione se da un lato giova al nervo perchè mette a riposo l’articolazione, nella lunga distanza questo riposo forzato può portare ad una ipofunzionalità della articolazione stessa con disturbi più intensi di quelli originari.
Sindrome del Tunnel Carpale : Yoga postura e stiramento muscolare.
Uno studio del 1998 condotta da Marianne Garfinkel negli USA, (pubblicato in uno dei maggiori giornali scientifici americani – Giornale della Associazione Medica Nordamericana) ha dimostrato come la pratica del regime yoga di base, con 11 posture di rafforzamento, stiramento e bilanciamento degli arti, consente il riallineamento posturale, rinforzando il polso può migliorare la sintomatologia della STC . L’uso di questi sistemi terapeutici, ben dosato è in grado di allontanare la possibilità dell’Intervento chirurgico che spesso viene presentato come la prima ed unica soluzione possibile.
L’intervento chirurgico è solo una delle possibili opzioni, preferibilmente l’ultima.
In realtà l’intervento chirurgico è solo una delle possibili opzioni, come abbiamo visto e, preferibilmente l’ultima, cioè quella cui ricorrere quando tutti i sistemi adottati fra quelli sopra indicati non sono più in grado di dare beneficio
L’Intervento è effettuato in Day Hospital. In anestesia locale si pratica un’incisione al di sopra del tunnel carpale: incidendo il legamento trasverso del carpo si libera il Nervo Mediano. La mano va lasciata a riposo per qualche giorno e poi si riprende gradualmente ad usarla, coadiuvandosi con tutte quelle sostanze che possono aiutare il nervo a “riprendersi”- vit.B, Acido Lipoico etc. e col sapiente utilizzo delle terapie fisiche, magnetoterapia in primis. In ogni caso è bene affidarsi al consiglio di uno specialista e sentire anche più di un parere prima di prendere una qualsiasi decisione.
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